Zingaretti dal 2021 potrà praticare la politica ‘dei due forni’: di volta in volta ‘convincere’ i riottosi M5S e Italia Viva di Matteo Renzi, appoggiandosi a Berlusconi; a Forza Italia conviene. Un ‘fare’ facilitato da una sostanziale evanescente opposizione

 

Quella di Nicola Zingaretti è la strategia del ragnocautoprudentetesse la sua tela; attende la sua vittima, e l’arpiona quando più si sente sicura. Lascia, paziente, che il tempo lavori per lui… Finora questa strategia, di apparente fiato corto, ha ‘pagato’. Zingaretti condivide la ‘filosofia’ del suo guru Goffredo Bettini: che, con cinico realismo ereditato dalla migliore scuola togliattiana, suggerisce di operare tenendo conto che in politica non sono tanto i desideri a contare, piuttosto i rapporti di forza; e quello che nel concreto si può fare.

E’ così che Zingarettiun tempo refrattario a qualsivoglia intesa con il Movimento 5 Stellesalda ogni giorno una intesa con Luigi Di Maiocaposcuola dei grillini ‘realisti’, ben incollati nelle poltrone governativeEntrambi sono consapevoli che al momento non c’è alternativa credibile all’esistente; così, in nome della sopravvivenza, ognuno puntella come può e sa il governo di Giuseppe Conte.

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L’obiettivo di Zingaretti è garantire che l’attuale legislatura segua il suo corso ‘naturale’. Così l’attuale Parlamento potrà eleggere il nuovo presidente della Repubblica, e scongiurare che possano esserci da non gradite sorprese per le prossime importanti nomine alla Corte Costituzionale e al Consiglio Superiore della Magistratura. Solo così Zingaretti potrà consolidare la sua rete di potere all’interno del Partito Democratico. Solo così Zingaretti potrà sperare di avviare e realizzare quelle riforme che gli possono consentire di presentarsi all’elettorato con qualche ‘credito’, e sperare di erodere una quota di consenso da un centro-destra che, ancora, appare maggioritario nel Paese.

E’ vero che le simpatie verso la Lega di Matteo Salvini si stanno riducendoma al momento restano nel campo conservatorea beneficio dei Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni.
Silvio Berlusconi, nel tentativo di salvare Forza Italia dall’estinzione, ma soprattutto preoccupato per il futuro delle sue aziende, fa di tutto per smarcarsial tempo stesso resta formalmente ancorato nel centro-destra. Un difficile gioco di equilibrio, ma è l’unica carta che Berlusconi può giocare.

Tassello dopo tasselloZingaretti sistema le tessere del suo mosaico. Ora si impegnerà nella legge di stabilità economica: profitterà dell’annunciata disponibilità di Berlusconi e delle contraddizioni in seno al M5S; la montagna grillinaal termine dei suoi Stati Generalipartorisce il solito topolino.
I bellicosi propositi annunciati dalla coppia Davide Casaleggio-Alessandro Di Battista sono rientrati, e non poteva essere altrimenti. Per quanto Casaleggio controlli la piattaforma Rousseau, sono le auto-tassazioni dei parlamentari grillini che la alimentano; e Di Maio controlla buona parte dei deputati e dei senatori, la loro speranza di poter continuare a essere parlamentari è legata alla strategia ‘governista’ di Di Maio.

Passato il Natale, e con l’opinione pubblica distratta’ dalla possibile e già annunciata terza ondata della pandemiaZingaretti e Di Maio metteranno mano agli altri dossier aperti: primo tra tutti, la RAI TV. Sulla graticola i vertici, a cominciare dal Presidente e dall’Amministratore delegato. Il conteggio alla rovescia è già cominciato, showdown previsto: primavera.
Zingaretti dal 2021 potrà praticare una politica che si può definire, riesumando una formula da prima Repubblica, ‘dei due forni’: di volta in volta ‘convincere’ i riottosi M5S e Italia Viva di Matteo Renzi (sempre più disperatamente alla ricerca di visibilità) a ingoiare certi rospi, appoggiandosi a Berlusconia Forza Italia conviene: di volta in volta cercherà intese con il PD per connotarsi come forza politica ‘responsabile’, guadagnare postazioni di potere reale nelle inevitabili spartizioni, per pesare di più all’interno del centro-destra…
Un ‘fare’ facilitato da una sostanziale evanescente opposizione: sia Salvini che Meloni sono molto loquaci e capaci nell’arte dell’‘apparire’; ma la loquacità quasi mai corrisponde a una concretezza del ‘fare’ e dell’essere credibile alternativa all’esistente. Il populismo autoritario (sia pure teorico e/o teorizzato), alla lunga non pagaLa parabola di Donald Trump dovrebbe pur insegnare qualcosa. Perfino ai trumpiani de Noantri…

di Valter Vecellio