Devo prendere atto del palese fallimento del tentativo di imporre l’anacronistico uno vale uno ed il risultato ancora peggiore del reddito di cittadinanza, che non ha risolto il problema delle fasce povere, mentre, con spreco di molto pubblico denaro, ha sottratto alle aziende medie e piccole forza lavoro essenziale per la ripresa, finendo col rendere agli imprenditori quasi impossibile trovare mano d’opera generica, per lavorare a condizioni economiche più o meno uguali alla elargizione statale senza doversi impegnare e con il margine di qualche saltuaria prestazione in nero.
È dinnanzi ai nostri occhi il definitivo disastro della Giustizia, dopo le improvvisate riforme dell’ex titolare del dicastero Bonafede, che ha ridotto i procedimenti giudiziari penali a percorsi Kafkiani ingestibili, in cui il ruolo della difesa a volte è diventato puramente formale e decorativo. Il potere delle Procure è cresciuto in modo anomalo e a dismisura ed è stata cancellata la prescrizione. In alcune carceri sono stati tollerati, forse persino incoraggiati, episodi di violenza sui detenuti che coprono di vergogna il ministro Bonafede, ammesso che ne possegga anche una quota residuale, ma principalmente gettano, un’ombra sinistra sul nostro sistema carcerario.
Il CSM, dopo le rivelazioni di Palamara, ha totalmente perso ogni autorevolezza e credibilità, ma continua a nominare lottizzando ed ha deciso di rinunciare di fatto ad esercitare il potere disciplinare. Le iniziative referendarie sono la via maestra per registrare l’insoddisfazione del Paese intero. La mediazione del Ministro Cartabia, cui va riconosciuta, oltre che competenza, buona volontà e pazienza, obiettivamente rappresenta le solita costruzione italiana, eccessivamente bizantina e frutto di un compromesso complesso, mentre altre erano le strade corrette per riparare allo strafalcione giuridico di Bonafede ed obbedire a quanto ci chiede l’Europa.
I grillini avrebbero sbraitato e sarebbe stato un fatto altamente positivo, perché la loro dissoluzione, ampiamente in atto, va accompagnata e favorita mettendoli nell’angolo, per eliminare il maggior elemento di anomalia del sistema. Blandirli e cercare il loro sostegno parlamentare è sostanzialmente un errore, anche perché in ogni caso non giungeranno mai ad assumersi la responsabilità dello scioglimento anticipato delle Camere, perdendo due anni di lauta indennità parlamentare per tornare ai loro precedenti ruoli di nullafacenti, cassaintegrati, precari o disoccupati, mentre le probabilità di ritornare su quegli scranni sono bassissime.
Bisognerebbe con decisione cominciare a riparare i danni prodotti in modo brutale e ruspante dai Cinque Stelle della prima ora e scongiurare quelli, ben pensati e che si profilano ancor più disastrosi, che ha in mente il futuro Presidente del M5S Conte, il quale coltiva un programma preciso di distruzione del ceto medio e di ampia destrutturazione dello Stato di Diritto, secondo una visione di stampo neo catto comunista.
Il Presidente Draghi ha la personale autorevolezza per dominare la complessa situazione parlamentare ed andare avanti nella strada intrapresa senza lasciarsi condizionare, né rallentare il cronoprogramma, ma per farlo ha bisogno del sostegno delle altre componenti della maggioranza. Lega e Forza Italia sembra lo abbiano capito, il punto debole è il PD, che cerca di inseguire l’intesa con i Cinque Stelle ad ogni costo, nella convinzione che altrimenti è destinato a dover rinunciare in futuro al potere. Nel Partito, in molti si vanno convincendo che si tratta di un progetto suicida, ma, tra questi non c’è ancora Enrico Letta, che ha legato il destino della sua segreteria al disegno di rinsaldare sempre più il rapporto con i pentastellati e con Conte in particolare.
Si tratta di una costante della prassi catto comunista, che deriva dal millenario insegnamento della Chiesa e dalla prassi consolidata dei regimi comunisti: mantenere il potere ad ogni costo e condurre una politica consociativa fondata sulla distribuzione di risorse pubbliche per comprare quote importanti di elettorato.
In questi giorni anche il centro destra sembra attraversato da aspre polemiche, purtroppo sempre per la spartizione di posizioni di potere, ed in questo caso, per la eterna questione della lottizzazione della RAI. Uno scontro vergognoso a cui si sono prestati tutti e che avrà forse come epilogo, oltre alla spartizione dei ruoli nelle reti e nei telegiornali, la possibile bocciatura della Presidente indicata da Draghi. Non una voce, magari isolata, ha colto l’occasione per proporre la privatizzazione del carrozzone mediatico pubblico, definito ancora una volta con sfacciataggine senza vergogna la maggiore industria culturale del Paese. Sarebbe più corretto dire la rappresentazione della sua miserabile ignoranza, caparbiamente sostenuta da una indecente logica spartitoria, che comprende tutti e non esclude nessuno, perché anche chi oggi strilla per essere stato escluso del Cda, sarà presto risarcito.
La grande azienda mediatica pubblica produce con i suoi tre canali più o meno quanto la concorrente privata Mediaset, a parità di ascolti, con il triplo del personale ed il quadruplo della spesa. La qualità dei programmi Fininvest, altrettanto modesti, è persino più trash, ma il privato, in un sistema di libera concorrenza, può fare quello che gli pare. Il cosiddetto servizio pubblico avrebbe ben altri doveri, del tutto ignorati. La odierna scadenza del Consiglio, era l’occasione quasi imperdibile per privatizzare almeno due dei tre canali della TV pubblica ed ampliare l’offerta, allargando la sfera della concorrenza ed incassando somme necessarie per il risanamento della finanza pubblica. La Sette non attendeva altro per raggiungere la dimensione minima per entrare a pieno titolo nell’agone della concorrenza nazionale, come altri network internazionali sarebbero stati pronti a comprare. Preoccupa che nessuno lo abbia accennato! Questo dimostra che il centro destra non è diverso dal centro sinistra. Entrambe le coalizioni, non solo hanno una forte vocazione statalista, impegnata nello sfruttamento parassitario delle connesse opportunità, ma sono altrettanto incolte e prive di disegno strategico sul futuro della società italiana e l’evoluzione del sistema informativo e d’intrattenimento televisivo .
Sono da considerare quindi positivi, oltre alle enormi difficoltà della sinistra, anche gli evidenti scricchiolii che si avvertono a destra. Questo potrebbe in qualche modo facilitare la emersione di un centro autonomo, che è quanto palesemente si augura Draghi, che non sembra disposto a lasciarsi imbalsamare fra sette od otto mesi al Quirinale, ma che appare intenzionato a proseguire nel suo impegno di Governo, anche per la prossima legislatura, lanciando l’ambizioso progetto di risollevare dalle fondamenta un Paese, che da troppi anni affonda in una sorta di bradisismo negativo, che lo sta seppellendo. Il disimpegno dalla maggioranza da parte di Conte e della componente grillina che lo segue, è il traguardo che l’avvocato pugliese insegue del giorno in cui è uscito da Palazzo Chigi per una vendetta privata contro Draghi. Se entrerà in aperta collisione col Premier e deciderà di uscire dalla maggioranza, non solo avrà l’amara delusione di dover prendere atto che ben pochi lo seguiranno, ma, dopo tale mossa incauta, dovrà prendere atto della reale inconsistenza anche sotto il profilo numerico della sua componente.
Una uscita dalla maggioranza dei facinorosi parlamentari che fanno capo a Conte, imporrebbe di serrare le fila nella coalizione e costringerebbe la parte più matura del centro destra ad assumere un ruolo diverso ed un rinnovato senso di responsabilità, probabilmente prendendo atto che c’è una destra neo fascista dalla quale è preferibile prendere le distanze, favorendo invece la necessaria rigenerazione del centro per riportare in campo la componente liberal-democratica, che ormai sembra scomparsa.