La democrazia non può tollerare colpi di Stato militari. Ma del resto il Venezuela ha purtroppo smesso di essere una democrazia da parecchio tempo. Questo Paese latino-americano sta vivendo ultimamente ore davvero critiche. I venezuelani sono tristemente abituati a periodi storici bui ma la rivolta militare iniziata martedì scorso con la liberazione di Leopoldo Lòpez, leader dell’opposizione agli arresti domiciliari da diversi anni, e che ha portato in piazza migliaia di cittadini contro il chavismo segna una svolta decisiva della rivolta.
Si tratta dell’offensiva finale contro il regime tirannico di Nicolas Maduro che ha perso ormai qualsiasi occasione di riscattarsi inclusa una offerta di amnistia che avrebbe lasciato spazio a una transizione democratica e soprattutto pacifica. La folle strategia di Maduro messa in atto in questo momento drammatico si fonda sostanzialmente nel fare desistere la popolazione  attraverso la fame, il terrore e la repressione. E questa è una delle ragioni per cui Maduro ha addirittura bruciato gli aiuti inviati dalle comunità internazionali.
Ora però Maduro è all’angolo. Tutte le democrazie del mondo hanno riconosciuto – vergognosamente solo l’Italia non ha preso una posizione netta contro il dittatore comunista – come presidente del Venezuela Juan Gauidò. Tuttavia non possiamo sottovalutare la complessità della situazione che implica equilibri politici internazionali. Infatti Maduro può contare su un alleato potente come la Russia che sul posto ha inviato addirittura alcune settimane fa truppe armate a sostegno del regime in cambio delle enormi risorse energetiche del Venezuela. Un atto di forza che ha messo immediatamente in allarme gli Usa.
Ogni dittatore che si sente minacciato tende a raddoppiare le proprie crudeltà e proprio martedì abbiamo visto quello che mai avremmo voluto vedere, ossia le immagini spaventose in cui un blindato dell’esercito investiva come se nulla fosse alcuni manifestanti indifesi, una sanguinosa imitazione che ha riportato alla memoria la crudeltà  subita dagli studenti di piazza Tienanmen.
L’appello di Maduro alla lealtà del’esercito che non è più certo di controllare tradisce la sua debolezza in particolare dal momento in cui gli Usa hanno invitato tutte le forze armate ad unirsi ai rappresentati dell’assemblea nazionale come unico organo legittimo esistente in Venezuela.
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Nonostante i disordini e la tragedia che sconvolge da troppo tempo il Paese va detto che la voglia di libertà da parte dei venezuelani resiste alla sinistra cubanizzazione che Maduro aveva programmato per loro. Gauidò e Lopez non hanno esitato a incitare alla rivolta perchè sanno che la pace, la libertà, la prosperità non saranno possibili fino a quando Maduro sarà al potere.  Non vogliono rassegnarsi alla devastazione completa del Paese e si sono affidati a un settore dell’esercito anche se in realtà non sanno se questo basterà per costringere Maduro ad andarsene e a quale prezzo.
Una democrazia non può tollerare colpi di Stato militari ma il Venezuela, come detto, non conosce da anni cosa significhi vivere dove ognuno possa esprimere liberamente il proprio parere nel rispetto delle parti. In questo Paese o si sta dalla parte della libertà o a fianco di Maduro che in questi anni ha letteralmente usurpato i diritti dei suoi governati, o meglio sudditi, sequestrando tutte le istituzioni. Chi ancora si nasconde dietro la formula “non vogliamo un bagno di sangue in Venezuela” dimentica che il sangue è già stato versato abbondantemente da quelle parti. E questo la dice lunga rispetto a chi ancora assume una posizione equidistante alla tragedia venezuelana.
Allo stato delle cose il trinceramento di Maduro – nelle ultime ore sembrava intenzionato ad andarsene ma i russi gli hanno ordinato di rimanere al suo posto – non può altro che aggravare il dramma. Non c’è altro che augurarsi che la rivolta resti dentro i limiti finora registrati.
Al di là di tutto è incredibile come un Paese quale è il Venezuela benedetto da abbondanti risorse naturali – è il più grande giacimento petrolifero al mondo –  sia bloccato da una crisi politica e in un collasso economico che ha costretto molti cittadini ad espatriare per fame e per la paura di rappresaglie da parte di un regime che ha ormai le ore contate. Almeno è questo che tutti ci auguriamo.