Non si comprende l’ostinazione del governo Meloni a non ritirare il contingente italiano da una missione “impossibile da compiere” per stessa ammissione del ministro Crosetto
L’inevitabile è accaduto. Colpi di carri armati israeliani verso il quartier generale di Unifil a Naqura, nel sud del Libano. Due caschi blu – non italiani – leggermente feriti.
La veemente reazione italiana
Tra i governi dei Paesi che prestano i loro contingenti alla missione Onu, il governo italiano è quello che ha reagito più tempestivamente e veementemente nei confronti di Israele, seguito poi dagli altri. Il ministro della difesa Guido Crosetto ha protestato con il suo omologo israeliano e con l’ambasciatore in Italia: quanto sta avvenendo è “inaccettabile”. “Anche se ho ricevuto garanzie sulla massima attenzione alla sicurezza del personale militare ho ribadito che deve essere scongiurato ogni possibile errore che possa mettere a rischio i soldati, italiani e di Unifil”, ha fatto presente al ministro Yoav Gallant.
Crosetto ha reso noto di aver “trasmesso una comunicazione formale alle Nazioni Unite per ribadire l’inaccettabilità di quanto sta accadendo nel Sud del Libano e per assicurare la piena e costruttiva collaborazione dell’Italia a tutte le iniziative militari volte a favorire una de-escalation della situazione e il ripristino del diritto internazionale”.
In conferenza stampa, è arrivato a evocare “crimini di guerra” da parte di Israele e a presumere l’intenzionalità dell’attacco alla base Unifil.
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha espresso in una nota la “forte vicinanza, sua personale e del governo, ai nostri militari”, ha ricordato che prestano “un’opera preziosa per la stabilizzazione dell’area, in aderenza al mandato delle Nazioni Unite”, e ribadito il “ruolo fondamentale” di Unifil. Si tratta purtroppo di retorica di circostanza, non aderente alla realtà sul campo.
Il mandato Unifil
Tutto si può dire tranne che Unifil svolga un “ruolo fondamentale” e “in aderenza” al suo mandato. Surreale anche solo parlare di “diritto internazionale”, visto che proprio la missione Unifil doveva garantirne il rispetto, implementando le prescrizioni della risoluzione 1701. Eccone alcune e ciascuno potrà verificare la suddetta “aderenza”:
- prevenire la ripresa delle ostilità, mantenendo tra la Blue Line e il fiume Litani una area cuscinetto libera da personale armato, assetti ed armamenti che non siano quelli del governo libanese e di Unifil;
- il disarmo di tutti i gruppi armati in Libano, incluso Hezbollah;
- nessuna arma o autorità che non sia dello Stato libanese;
- nessun commercio o rifornimento di armi e connessi materiali al Libano tranne quelli autorizzati dal governo libanese;
- intraprendere tutte le necessarie azioni nelle aree di schieramento delle sue forze e, per quanto nelle proprie possibilità, assicurare che la sua area di operazioni non sia utilizzata per azioni ostili di qualsiasi tipo;
- reagire con la forza a tentativi di impedire l’assolvimento del proprio compito.
Dunque, il mandato era chiaro, la risoluzione attribuiva a Unifil specifici poteri di intervento. In questo anno (e negli anni precedenti) avrebbe potuto – e anzi dovuto – impedire a Hezbollah di introdurre armi, costruire tunnel e postazioni, e di lanciare missili contro il territorio israeliano nell’area di sua competenza.
Perché non lo ha fatto? Perché già dal 2006, di fronte alla prospettiva di scontrarsi con Hezbollah si convenne che Unifil avrebbe operato nei confronti delle sue milizie solo affiancando l’esercito libanese, estendendo all’intero mandato la previsione, che riguardava in realtà pochi compiti, di affiancamento e assistenza alle forze regolari libanesi. Una finzione, da cui il fallimento.
Non solo Unifil non è riuscita ad adempiere alla sua missione, non ci ha mai nemmeno provato, non essendo mai state contrastate né denunciate le attività di Hezbollah nell’area.
Inadempimento che è tra le cause della nuova guerra tra Israele e Hezbollah. In questi 18 anni, infatti, Unifil ha permesso al gruppo terroristico di riarmarsi e riposizionarsi a sud del fiume Litani, al confine nord di Israele, zona che doveva rimanere interdetta come da risoluzione 1701. Proprio da questa regione Hezbollah ha cominciato, fin dal giorno seguente il pogrom di Hamas del 7 ottobre 2023, quindi da oltre un anno, a lanciare missili verso il territorio israeliano, causando 80 mila sfollati.
Missione impossibile
Rispondendo a precise domande di Claudia Fusani, ieri in conferenza stampa, il ministro Crosetto ha ammesso (1) la “mancanza di possibilità di raggiungere l’applicazione della risoluzione 1701” (2) che le armi di Hezbollah sono presenti nella zona dove opera Unifil (“anche questo non è un segreto”) e che “alcuni degli attacchi e dei razzi di Hezbollah sono partiti da quella zona, non è una novità”. Quindi la domanda è: perché il contingente italiano non è stato richiamato da una missione che il governo sapeva essere impossibile da compiere?
Non si tratta – lo ripetiamo – di inefficacia, ma peggio, di un completo e deliberato inadempimento. Con la sua inazione, la missione Onu si è resa complice del riarmo e dell’escalation di Hezbollah in corso da un anno.
In questi pochi giorni di incursioni l’Idf ha scoperto – a pochissimi metri dalle basi Unifil – una rete di tunnel e depositi di armi, oltre 1.000 siti strategici, dimostrando come Hezbollah fosse in procinto di replicare il massacro del 7 Ottobre su larga scala nel nord di Israele. E non è da escludere che Israele abbia, o possa raccogliere presto, prove di collusione tra alcuni contingenti Unifil e Hezbollah.
Tra due fuochi
Al contrario di quanto il ministro Crosetto ha più volte ribadito in questi mesi e settimane, i soldati italiani impegnati in Unifil non sono affatto al sicuro, come hanno dimostrato i fatti di ieri. E non possono esserlo, perché il lavoro che avrebbe dovuto fare Unifil negli anni passati, ora dovranno farlo gli israeliani.
Unifil si trova ormai in una zona di guerra. Sono in corso intensi combattimenti tra le milizie di Hezbollah e le forze israeliane proprio nella zona di Naqura, dove si trova il quartier generale Unifil. E dove si trovano anche le postazioni di Hezbollah, guarda caso proprio vicine ad esso. Insomma, la missione Onu è tra due fuochi, per questo l’Idf le aveva raccomandato di spostarsi di 5 km a nord. Ma il comando Unifil ha respinto la richiesta israeliana.
“Italia e Nazioni Unite non possono prendere ordini da Israele”, ha ammonito il ministro Crosetto. Bene, ma il governo italiano resta responsabile della sicurezza dei suoi militari tenuti in una zona di guerra, tra due fuochi, per una missione che per sua stessa ammissione è impossibile compiere e senza armi idonee a difendersi.
Se Unifil si ostina a non spostarsi, come raccomandato da Israele, accetta di correre il rischio che le sue basi vengano usate come scudi dalle milizie Hezbollah e siano da impedimento a Israele nel perseguire i suoi obiettivi di sicurezza. Anche non evacuare diventa, di fatto, una scelta di campo.
Perché non ritirare il contingente?
Stando così le cose, è evidente che i presupposti della missione sono venuti meno, come ha spiegato anche l’ex ministro della difesa Arturo Parisi su X: “La missione Unifil 2 nasce dalla volontà delle parti di interrompere le ostilità e dalla loro convergente consapevolezza della necessità di un forza di interposizione. Sono questi presupposti ad essere venuti meno“.
Non si capisce davvero perché il governo italiano, un governo di destra, si ostini a partecipare ad una missione che nella sua attuale veste, stabilita dalla risoluzione 1701 del 2006, è non solo completamente inefficace, ma dannosa, costosa e ora anche pericolosa. Per di più, l’invio di un nostro contingente fu deciso da un governo di centrosinistra, con un ministro degli esteri, Massimo D’Alema, che andava a braccetto con esponenti di Hezbollah a Beirut.
Quello che ancora si stenta a comprendere nelle capitali occidentali, e parlare di “contributo alla de-escalation” ne è la prova, è che Israele sta combattendo per la sua sopravvivenza, non guarda in faccia a nessuno (nemmeno agli Usa, figuriamoci all’Onu o al ministro Crosetto), mentre la permanenza di Unifil nel sud del Libano è nella migliore delle ipotesi, a non pensar male, cosmetica.
L’ostinazione del governo Meloni a non ritirare il contingente italiano è degna di miglior causa. Nell’interesse degli italiani sarebbe una missione navale nel Mediterraneo centrale, o rafforzare la nostra presenza nel Mar Rosso. Perché dunque ostinarsi a non ritirare i nostri soldati? Solo per fare bella figura? Per compiacere l’Onu? Guterres? Mattarella?
Federico Punzi – Atlantico