Le recenti elezioni amministrative, anche in alcune grandi città italiane, hanno dimostrato che la bolla del M5S, come una tromba d’aria è scoppiata e si è dispersa. La fine del movimento con la sua protesta a tutto campo non ha tuttavia fatto scomparire l’antipolitica e la tendenza all’autoritarismo
Le recenti provocazioni strumentali contro i leader della Destra, come le recenti violenze di piazza, rivelano invece che sotto la cenere cova un fuoco vivo delle estreme contro la democrazia liberale. L’assalto alla Sede della CGIL è stato il più grande regalo che una teppaglia di analfabeti arrabbiati, sicuramente manovrati, poteva fare ad un sindacato privo di prestigio e quasi morente, che invece è stato rianimato e potrebbe dar via libera alle sue frange più facinorose. Ogni estremismo ha bisogno di quello contrario per agitare il fantoccio polemico del nemico da abbattere, come avvenne in Italia nel 1922. Le strade e le piazze d’Italia furono paralizzate dalle manifestazioni, spesso violente, della sinistra socialista e comunista ed altrettanto fecero i ribaldi fascisti con le loro bravate all’olio di ricino, fino a portare il Sovrano ed il Parlamento a consegnarsi a Mussolini, conferendogli anche i pieni poteri, inizialmente a tempo determinato, che poi il dittatore rese permanenti, trasformando, dopo l’assassinio di Matteotti, il regime in dittatura e mettendo fuori legge tutti i partiti, tranne il proprio.
Gli assalti di sabato 11 ottobre sono stati quindi la prevedibile conseguenza della strategia di ripetuti attacchi ad una destra, additata come autoritaria e neofascista, ed hanno avviato una nuova fase di estremismi contrapposti, come negli anni settanta. Il diffuso desiderio di tornare ad una politica fondata su ragioni, culture e pensieri, dopo un quarto di secolo di partiti non democratici, padronali, improvvisati, spesso estremisti, ha innescato una sorta di autodifesa di chi, in un clima da corrida, ha fatto le proprie fortune.
Meloni e Salvini, usati come bersaglio, anche se tardi, forse lo hanno capito e va dato loro atto di una reazione misurata. Tuttavia non si sono rivelati in grado di spegnere le pulsioni radicali di una destra fascisteggiante, che ritorna sempre nei momenti più difficili e che, quasi automaticamente, risveglia le sopite tendenze allo scontro con una sinistra, al cui interno sono sempre esistenti segmenti rivoluzionari, pronti a scendere in campo.
Sembra di essere tornati agli anni settanta ed alla logica degli opposti estremismi, che condizionarono tutta la politica nazionale, manovrati da servizi deviati, anche stranieri. Il Paese risponde sempre secondo gli antichi riflessi, magari sopiti, di una lunga contrapposizione facinorosa, talvolta armata, tra nostalgici del fascismo da una parte e orfani del comunismo dall’altra. Tali pericolosi fermenti nel prossimo futuro potrebbero dar vita ad uno scontro politico e di piazza, indebolendo la fragile ed ancora incerta tendenza, dopo anni difficili in cui la politica vera è mancata, di ricostituire un centro di ispirazione liberaldemocratica e riformatrice, che faccia riferimento all’azione di Governo di Draghi.
Ogni Paese, nei momenti difficili, recupera i propri riflessi istintivi, quelli che derivano dalle proprie radici. In Francia si tratta del ritornante bonapartismo, in Russia della nostalgia della potenza dell’URSS, in America di una tendenza all’egoismo nazionalistico, nei Paesi Arabi del sempre accentuato integralismo islamico, in Cina del Nazionalismo antidemocratico di ispirazione comunista. Stiamo assistendo indifferenti a tale fenomeno regressivo, dopo anni di internazionalismo e di difesa del valore della pace, conquistato dopo le due tremende guerre mondiali del novecento.
Attorno a noi tutti gli equilibri si stanno rivelando precari. La Gran Bretagna comincia a pagare le negative conseguenze dell’errore della Brexit. Il Medio Oriente abbandonato si sgretola ed il primo segnale è stato lo spegnimento del Libano, dove sono venute a mancare le fonti di rifornimento energetico. Gli altri Paesi dell’area imploderanno, con il rischio di numerosi esempi di affermazione in varie nazioni di regini simili a quello che si è imposto in Afganistan. La Turchia di Erdogan in tale contesto tende a rifondare l’impero ottomano, seppellendo la riforma di Atatutrk, per attribuirsi il ruolo di guida dell’intero mondo islamico. Nel mar della Cina, tra la Repubblica popolare e Taiwan, soffiano pericolosi venti di guerra, perché Xi Jin Ping sembra deciso, forse anche per dare un segnale di forza militare oltre che economica all’Occidente, a ripigliarsi militarmente quella Provincia da oltre un settantennio considerata ribelle, rifiutando di riconoscere che, ormai e da molto tempo, è uno Stato indipendente e democratico, che rischia di finire soggiogato, come è avvenuto per Hong Kong, con la complicità del cinismo britannico.
Si stanno determinando quindi condizioni internazionali ben diverse da quelle dei decenni successivi alla seconda guerra mondiale, caratterizzati dalla aspirazione alla pace ed all’unità dell’Occidente democratico, grazie aduna salda alleanza politica economica e militare per contrastare la guerra fredda contro l’imperialismo sovietico. Gli Stati Uniti hanno rinunciato al loro ruolo di guida del mondo libero e di gendarme a tutela della pace. Nuovi attori, sicuramente poco affidabili, sovente poco o per nulla democratici, compaiono sulla scena e le stesse democrazie tradizionali si rivelano impotenti. Il punto debole, oltre naturalmente al Medio Oriente, che continua ad essere la polveriera del mondo, è l’Europa, incapace di riunirsi in uno Stato federale, dotarsi di un apparato difensivo all’altezza e, principalmente di ambire ad un ruolo di primo piano nello scenario mondiale dei prossimi anni. L’Italia ovviamente continua ad esserne la componente più fragile
Stefano de Luca – Rivoluzione Liberale