Vince il “sì” ai superpoteri del presidente.
Un elettore su due è contrario
In Turchia vince di misura il sì al referendum che conferisce i superpoteri al presidente Recep Tayyip Erdogan. Un voto fortemente contestato che fotografa perfettamente un Paese spaccato a metà: ha detto no un elettore su due, la differenza è costituita da poco più di un milione di turchi mentre l’affluenza alle urne è stata dell’86% su oltre 56 milioni di elettori.
Festeggiano in piazza i supporter del premier, protesta invece l’opposizione che ha vinto in molte città tra le più ricche e sviluppate come Ankara, Smirne e Istanbul. A rimanere fedele al presidente della Repubblica turca solo l’Anatolia, lo zoccolo duro dell’elettorato di Nemettin Erbakan, il padre della destra islamica punto di riferimento di Erdogan. L’unica sorpresa importante arriva dal voto all’estero, dove la riforma che regala al presidente poteri quasi illimitati è stata votata con quasi il 60% in Germania e il 70% in Olanda, i Paesi europei che Erdogan ha attaccato maggiormente. Si ricorda infatti che il presidente accusò di atteggiamenti nazisti in particolare Germania e Olanda che avevano impedito all’interno dei propri confini la campagna elettorale per il sì nonostante vi sia da anni una presenza massiccia di immigrati turchi.
A sentire gli analisti sembra che a promuovere la riforma siano state soprattutto le persone più religiose. La motivazione fondamentale sarebbe dovuta al fatto di voler garantire un potere più ampio e stabile al presidente e di conseguenza rendere la Turchia più forte. Il no sarebbe stato invece votato soprattutto da persone di sinistra e dai laici che temono la diminuzione della democrazia del Paese. Ora a bocce ferme è normale considerare che questo voto ha un grande peso ideologico e questo del resto c’era da aspettarselo.
Intanto pare che la consultazione non abbia rispettato gli standard internazionali sul processo di voto, si apprende dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) che evidenzia come la consultazione si sia svolta in un clima politico in cui il livello democratico è piuttosto dubbio e le due parti non hanno avuto le stesse opportunità. Dati alla mano dimostrerebbero che la campagna per il sì avrebbe dominato la copertura dei media e questo, insieme all’arresto di alcuni giornalisti e la chiusura forzata di qualche giornale, avrebbe ridotto fortemente la possibilità per gli elettori di avere e capire altri punti di vista, altre angolazioni attraverso le quali si poteva dare la possibilità ai cittadini di analizzare le cose e riflettere sulle reali conseguenze relative al voto.
In sostanza per l’Osce la consultazione popolare si sarebbe svolta in condizioni di netta disparità tra le parti in corsa e di conseguenza gli elettori non avrebbero avuto informazioni sufficienti e imparziali sull’oggetto del contendere, ovvero la riforma. La risposta del Governo turco non si è fatta attendere e ha bollato l’analisi degli osservatori internazionali che hanno criticato le modalità di voto come prevenuta e inaccettabile. Secco poi il commento di Erdogan: “Che gli osservatori stiano al loro posto”. Resta comunque il fatto che Erdogan ha incassato una vittoria risicata: il sì ha ottenuto poco più del 51% mentre l’opposizione è sul piede di guerra e denuncia brogli che stimano nell’ordine del 3-4% dei voti ammonendo che sull’esito del voto farà ricorso alla Corte Costituzionale.
Certo è che determinante per la vittoria del sì è stato il voto all’estero. Dalla Germania all’Olanda, oltre che in Austria e Belgio, il sì alla riforma ha superato la soglia del 60% mentre la riforma è stata bocciata dai turchi residenti in Svizzera.