I sondaggisti è meglio che cambino mestiere. Donald Trump non ha vito ma ha stravinto. Piaccia o non piaccia.
Contro il tycoon si erano schierati tutti, dalle più importanti reti televisive ai giornali internazionali più autorevoli, dalle star del cinema e della musica al mondo della cultura. Non parliamone poi del fuoco incrociato arrivato dal popolo dei social che ha versato veleno sull’uomo senza neppure conoscere lui né tantomeno il suo programma.
Ma a fare una figura davvero pietosa, vergognosamente disastrosa sono stati loro, i fenomeni che elaborano sondaggi a raffica nel corso della campagne elettorali. Il loro è stato un flop storico. E pensare che fino a qualche ora fa godevano di una autorevole affidabilità nell’ ambiente americano.
Da incapace a stratega, la pletora dei leccapiedi sta già strisciando
La “grande” informazione era andata a gara per denunciare le bugie di Trump su presunte tasse non pagate e non perdeva occasione di ridicolizzare la sua immagine, la sua impreparazione, la sua inadeguatezza a governare la prima potenza mondiale.
Addirittura i suoi stessi compagni di partito avevano messo in guardia gli americani e il mondo intero sui pericoli di una sua eventuale vittoria.
Ma visto come sono andate la cose, evidentemente, tutto questo bombardamento per abbattere “il mostro” non è servito a nulla. Tuttavia va detto che alcuni network tradizionalmente vicini all’establishment repubblicano, pur non sostenendo apertamente Trump, in maniera particolare all’inizio della sua corsa alla Casa Bianca questi media avevano avuto un atteggiamento tiepido nei suoi confronti, non hanno neppure seguito l’onda demolitoria preferendo cambiare tiro e prendere di mira i fallimenti dell’amministrazione Obama, in particolare nella politica estera. E questo ha sicuramente contribuito a rafforzare il magnate durante le ultime battute della campagna elettorale.
Campagna elettorale dura da ambo le parti senza esclusione di colpi bassi come la faccenda “emailgate” che ha coinvolto Clinton o alle uscite sessiste pronunciate da Trump, l’uomo che a partire da gennaio sarà per i prossimi quattro anni il 45esimo presidente degli Stati Uniti. Donald Trump, 70enne, candidato con il Partito Repubblicano, ha battuto dunque la candidata del Partito Democratico, Hillary Clinton data per favorita fin dall’inizio. Alla faccia di chi voleva farlo a pezzi il biondone è piaciuto a tanta gente come alle donne, agli afroamericani, agli stessi ispanici corteggiati (inutilmente) da Hillary. Insomma, Donald ha trionfato rovesciando ogni pronostico dimostrando di essere il più forte sbaragliando i sondaggi che invece avevano esaltato l’avversaria. Nessuno ci credeva quando pochi giorni fa lui disse “vincerò con un grande vantaggio”. Bene, ora dobbiamo dire che aveva ragione.
La sua vittoria era stata considerata improbabile se non impossibile dai maggiori analisti e commentatori politici e invece il leggendario sogno americano prosegue proprio con la faccia di Trump. Perché proprio attraverso la sua faccia gli americani vogliono tornare a sognare. La sua conquista della Casa Bianca ha dimostrato incredibilmente come sia oggi enorme la scollatura tra la indiscutibile forza dei media e la pancia della gente, alle autentiche esigenze di tanti americani che devono far quadrare il pranzo con la cena tra mille difficoltà economiche. Un fenomeno che del resto conosciamo bene anche noi europei con l’avanzata delle formazioni populiste. Trump ha saputo innegabilmente interpretare i sentimenti di questo crogiolo di razze diventando paladino dell’antipolitica riuscendo così a battere la politically correct di Clinton. Seppur miliardario è riuscito comunque a fare breccia tra le classi meno abbienti identificandosi con l’uomo comune puntando il dito su questioni centrali quali la sicurezza, la lotta all’immigrazione incontrollata, lo stop al dilagante trasferimento della produzione in altre parti del mondo che è la causa della tremenda perdita di posti di lavoro negli Usa.
Insomma, con la inattesa disfatta di Hillary ha di fatto perso il sistema, il potere costituito, le lobby, la casta ma soprattutto la stampa. Trump, che ha superato la soglia dei 270 elettori, ha già riabilitato la propria immagine elettoralistica, ossia aggressiva e strafottente. Ne abbiamo avuto esempio appena le urne avevano dato la conferma della sua vittoria: salendo sul palco dell’Hilton di New York, suo quartier generale, visibilmente emozionato e con toni pacati prima di affermare che sarebbe stato il presidente di tutti ha ringraziato Hillary che gli aveva pochi istanti prima telefonato per congratularsi della vittoria aggiungendo che l’avversaria si è battuta con tenacia e coraggio.
Ora oltre alla Casa Bianca, il Partito Repubblicano si è rafforzato mantenendo la sua maggioranza alla Camera recuperando inoltre al Senato. A conti fatti Trump (ma ora è giusto chiamarlo il presidente) potrà governare con un Congresso a maggioranza Repubblicana per almeno due anni, almeno fino alle elezioni di metà mandato del 2018.
Adesso si dia inizio al valzer dei voltagabbana: Trump da personaggio vituperato e boicottato sarà osannato e portato in trionfo anche dai suoi stessi detrattori.
social. Trump, ora arriva il bello.