Cambio di rotta epocale: il Movimento 5 Stelle è il primo partito mentre il centrodestra diventa la prima coalizione dopo una tornata elettorale che di fatto conferma le previsioni della vigilia, comprese quelle sui consistenti rebus di una prevedibile ingovernabilità. Dalle urne scaturiscono  due elementi importanti: la débâcle di Renzi e del suo Pd e il definitivo sorpasso della Lega su Forza Italia. Il quadro è dunque chiaro, ossia un ribaltamento dei rapporti di forza tra gli schieramenti ma tuttavia insufficienti a formare una solida maggioranza in grado di governare il Paese.
I pentastellati sono dunque il primo partito con oltre il 31%. Alle loro il  Pd che non supera il 19, mentre la Lega sfonda con oltre il 18% e Forza Italia supera di poco il 14%.  Se la situazione manterrà questo trend  Fdi si mantiene stabile incassando il 4,2%, LeU non mantiene le aspettative e si inchioda al 3,3%. Le altre liste non hanno invece superato lo sbarramento del 3%. PiùEuropa di Emma Bonino non raggiunge il quorum e si ferma al 2,7%. Briciole per Potere al Popolo-Prc all’1%: 1,1%. Male  CasaPound che ottiene un misero 0,9% che poco si discosta dal Popolo della Famiglia allo 0,6%, Insieme allo 0,5%, Civica Popolare e la Svp allo 0,4%, Italia agli italiani e Partito Comunista allo 0,3%. Finiscono nel dimenticatoio anche altre formazioni minori  come  Sinistra rivoluzionaria allo 0,08% e Ala-Partito Repubblicano allo 0,07%.
Alla fine dei conti il dato significativo  è che in Parlamento una maggioranza non c’è, né alla Camera né al Senato.
Non c’è quindi un vincitore assoluto di questo giro elettorale, come del resto era stato pronosticato,  e sarà di conseguenza inevitabile che per  formare una nuova squadra per palazzo Chigi ci sarà la necessità di trovare accordi tra partiti in grado poi di ottenere la fiducia da parte del Parlamento. E sicuramente la partita non sarà facile.
Aspettando l’assegnazione dei seggi alle forze politiche in campo potremmo intanto azzardare qualche ipotetica strategia  per immaginate  possibili alleanze. Andando con ordine al Senato la maggioranza è fissata a 158 seggi e questo significa che un asse tra Forza Italia e Partito Democratico, i due partiti che possiamo considerare i grandi sconfitti di questo giro elettorale, è da escludere visto che  insieme superano di poco i 100 senatori.

All’orizzonte appare remota  una alleanza tra grillini  e Pd  con quella parte della sinistra uscita dalle urne pressoché inesistente in termini numerici anche se  unendo le forze con Liberi e Uguali – 115 seggi per il M5S, 50 al  Pd e 8 per LEU si arriverebbe a 173, quota sufficiente  per ottenere la fiducia.

Sarebbe invece praticabile una combinazione che può essere individuabile in uno schieramento costituito da formazioni che possiamo definire euroscettiche, ossia M5S, Lega e Fratelli d’Italia che in un colpo solo si libererebbero di Berlusconi e della sua Forza Italia uscita dalla competizione segnando un netto tracollo. Se così fosse i giochi sarebbero chiusi con all’attivo un numero di seggi nettamente superiore alla maggioranza stabilita: circa 186.

Cambiano gli assetti alla Camera in cui  la maggioranza assoluta è di 316 deputati. Tuttavia, in termini di nuove  alleanze tese alla formazione di una maggioranza in grado di produrre un governo, la musica non cambia rispetto a quanto puntualizzato sopra per il  Senato: da bocciare subito un Patto del Nazareno bis tra Berlusconi e Renzi, quest’ultimo poi a un passo per lasciare la segreteria, e pressoché impraticabile l’intesa di ciò che resta del centrosinistra con il Movimento di Grillo.
In caso di stallo la palla passa come sempre al Colle che interverrà nel caso in cui, preso atto dell’impasse – con questa sciagurata legge elettorale quanto mai possibile – emerga l’impossibilità di  formare un esecutivo capace di incassare la fiducia del Parlamento. Ultima alternativa, tra l’altro già ventilata da più parti, è un Governo di scopo – magari presieduto dallo stesso Gentiloni – che avrebbe il compito di elaborare  una legge elettorale decente e poi via allo scioglimento anticipato delle Camere con nuove elezioni… tanto per cambiare.