I tanti nemici di Falcone e un ricordo di Walter Tobagi, ucciso quarant’anni fa dai terroristi.
In questi giorni molti hanno ricordato Giovanni Falcone (e con lui la moglie Francesca Morvillo, gli uomini della scorta (Rocco Dicillo, Antonio Montinaro, Vito Schifani; i 23 feriti, tra i quali gli agenti Paolo Capuzza, Gaspare Cervello, Angelo Corbo, e l’autista giudiziario Giuseppe Costanza); ricordare significa anche ricordare, non smarrire la memoria che:
- fu il Consiglio Superiore della Magistratura a maggioranza (compresi due su tre aderenti a Magistratura Democratica) a preferire Antonino Meli a Falcone;
- furono i suoi colleghi magistrati, a maggioranza, a bocciarlo quando si candidò al CSM;
- furono Leoluca Orlando, Carmine Mancuso e AlfredoGalasso, rappresentanti dell’allora ‘Rete’, a denunciarlo al CSM, accusandolo di tener chiusi nei suoi cassetti le verità sui delitti eccellenti a Palermo;
- fu Alfredo Galasso ad accusare Falcone di essere ‘fuggito’ da Palermo e di ‘disertare’ la lotta alla mafia andando a dirigere l’ufficio Affari Penali del ministero di Giustizia a Roma;
- furono i suoi colleghi magistrati a sostenere in un pubblico documento che la Direzione Nazionale Antimafia, ideata e proposta da Falcone (e che Falcone avrebbe dovuto guidare, se nel frattempo non fosse stato ucciso) era pericolosa;
- fu Alessandro Pizzorusso(membro ‘laico’ del CSM designato dall’allora PCI) a scrivere su ‘l’Unità’ che Falcone era inaffidabile in quanto aveva accettato l’incarico di responsabile degli Affari Penali che gli aveva offerto l’allora ministro della Giustizia Claudio Martelli;
- fu il CSM a preferire Agostino Cordova a Falcone per la Direzione Nazionale Antimafia, e solo la caparbietà di Claudio Martelli impedì che Cordova venisse insediato;
- Falcone si dichiarò, esplicitamente, per la separazione delle carriere del giudice e del pubblico ministero; per l’abolizione dell’obbligatorietà dell’azione penale; per la responsabilità anche civile del magistrato per dolo o colpa grave; e questo lo rese inviso a tanti suoi colleghi;
- Falcone al giornalista Luca Rossi, che poi lo pubblica nel libro ‘I disarmati’ (mai smentito), dice: «…Il fatto è che il sedere di Falcone ha fatto comodo a tutti. Anche a quelli che volevano cavalcare la lotta antimafia. In questo condivido una critica dei conservatori. L’antimafia è stata più parlata che agita. Per me, invece, meno si parla, meglio è. Ne ho i coglioni pieni di gente che giostra con il mio culo. La molla che comprime, la differenza: lo dicono loro, non io. Non siamo un’epopea, non siamo superuomini e altri lo sono molto meno di me. Sciascia aveva perfettamente ragione: non mi riferisco agli esempi che faceva in concreto, ma più in generale. Questi personaggi, prima si lamentano perché ho fatto carriera, poi se mi presento per il posto di procuratore, cominciano a vedere chissà quali manovre. Gente che occupa i quattro quinti del suo tempo a discutere in corridoio; se lavorassero, sarebbe meglio. Nel momento in cui non t’impegni, hai il tempo di criticare: guarda che cazzate fa quello, guarda quello che è passato al PCI e via dicendo. Basta, questo non è serio. Lo so di essere estremamente impopolare, ma la verità è questo…».
Sono davvero tante le cose che andrebbero ricordate per ricordare Falcone. E non sono invece ricordate.
Oggi, il 28 maggio, sono quarant’anni che Walter Tobagi, inviato del ‘Corriere della Sera’, viene assassinato da un gruppo di giovani della borghesia bene milanese che aspira, con quel delitto ad entrare nelle Brigate Rosse. Cretini, gli esecutori materiali. Assassini, ma cretini. Favoriti da un clima, un contesto. Il PSI prende molto a cuore, la vicenda, e il quotidiano del partito, ‘L’Avanti!’ conduce una dura e isolata campagna. Ne paga anche qualche conseguenza, penalmente parlando: dirigenti del PSI e giornalisti vengono condannati per quello che dicono e scrivono. La si dovrebbe rileggere con molta attenzione quella pagina oscura della nostra storia.
Si dovrebbe/potrebbe recuperare un libro pubblicato molti anni fa, ‘Testimone scomodo’: una raccolta di scritti di Tobagi, dal 1975 al 1980. Ci sono le testimonianze di Enzo Biagi, Pierre Carniti, Nando Dalla Chiesa, Marco Cianca, Matteo Matteotti, Arrigo Petacco, Sergio Turone, Leo Valiani. E tanti articoli di Tobagi. Anche quello che, chissà, ne segna la condanna a morte, del 20 aprile 1980, “Non sono samurai invincibili“.
Un pensiero commosso a Benedetta Tobagi, la figlia: sono sicuro che il babbo sarebbe orgoglioso e fiero di quello che fa, per come lo fa.
di Valter Vecellio