Con l’uso di una violenza inaudita Recep Tayyp Erdogan ha scatenato, attraverso bombardamenti di artiglierie, anche pesanti, raid aerei e truppe da terra, una violentissima azione di guerra contro la provincia autonoma curda nel territorio siriano di Rojava. L’obiettivo è di liberare una striscia di oltre quattrocento chilometri lungo il confine turco siriano per poter deportare in quei territori i tre milioni di migranti che oggi tiene nei campi profughi in Turchia e per i quali ha ottenuto sei miliardi di euro dall’Europa, per scongiurare la minaccia di avviarli verso le frontiere con l’occidente. Allo stesso tempo intende creare lo scompiglio nella provincia curda, ignorando, o fingendo di ignorare che, nonostante la presenza delle truppe americane, senza il coraggio e l’eroismo delle truppe di quel coraggioso popolo, che ha combattuto metro per metro, casa per casa, difficilmente sarebbe stata possibile la sconfitta dell’ISIS, che era riuscito ad infiltrarsi saldamente. Come riconoscimento era stata quindi concessa da Bashar al Assad l’autonomia della Provincia di Rojava ad un popolo che, pagando prezzi altissimi, aveva dato un contributo determinante per la sconfitta del terrorismo islamico, che in quei territori aveva insediato il proprio presunto e pericoloso Stato.
Incomprensibilmente (o con una mossa forse troppo troppo eloquente) Trump ha ritirato i suoi militari rimasti su quel territorio, dove ancora si nascondono seri pericoli di ritorno al potere dell’ISIS, sconfitta ma non domata.
L’organizzazione terroristica dispone tuttora di migliaia di uomini ben armati, che cercano di confondersi con la popolazione locale, ma sono pronti a riprendere la loro offensiva, liberando i prigionieri dai campi di concentramento, ove ha infiltrato molti combattenti, che potrebbero sfuggire al labile controllo da parte delle forze siriane. Dall’altro lato della frontiera, nel Sud della Turchia, vivono milioni di persone, tenute da decenni nelle condizioni di ostaggi permanenti, perseguitati e controllati a vista dall’esercito, che mantiene una perenne occupazione militare, soggiogando la componente curda al dominio islamista di Erdogan, che è sempre preoccupato per la legittima rivendicazione di indipendenza di questo fiero popolo laico, rimasto una delle poche etnie al mondo, rilevante sul piano del numero perché ammonta a circa cinquanta milioni di persone, che non è riuscita, come avrebbe diritto, di potersi organizzare in Stato sovrano su quello, che, da tempo immemorabile, è il proprio territorio, assurdamente diviso invece tra Turchia e Siria, di cui pochi conoscono la vera tragedia.
La recente guerra eroica condotta dai Curdi per liberare la parte della Siria occupata dall’ISIS, rappresentava palesemente la riconquista parziale sul campo di una parte dei loro insediamenti storici, imponendo al debole Bashar Al Assad, che senza l’aiuto di americani, curdi, russi e ONU, avrebbe perduto sicuramente il potere, di consentire l’avvio della costituzione di uno Stato curdo indipendente su quella che sempre è stata la loro terra e che i curdi hanno dimostrato di saper difendere. Essi coltivano, inoltre, l’auspicio, in un non lontano futuro, di potersi riunire con quell’altra componente, che vive, letteralmente in condizioni di occupazione militare, nella parte del territorio curdo in Turchia, senza neppure il diritto di chiamarlo, come è storicamente, Kurdistan, sottoposto invece ad un drammatico controllo militare Turco.
Sono stato a Diarbakir, città capoluogo di quella regione con una delegazione parlamentare internazionale, ricevuta in un vero e proprio bunker. Quando alcuni di noi espressero il desiderio di uscire in strada, per una piccola passeggiata nel centro della città, concessa per non più tre o quattrocento metri, siamo stati accompagnati da alcune centinaia di uomini armati in assetto di guerra e scortati da quattro carri armati. Ci siamo quindi domandati se fosse immaginabile per la popolazione del luogo una vita normale in quelle condizioni. Abbiamo inoltre visitato nel Carcere di Ankara alcuni parlamentari in carica, compresa una donna, che avevano la sola colpa di essere curdi, rinchiusi senza neppure il rispetto delle prerogative parlamentari, con la facile e falsa accusa di essere vicini al PKK, dichiarato fuori legge, in quanto rappresenta la frangia curda che adotta sistemi terroristici per le proprie rivendicazioni. Tuttora deputati democraticamente eletti del Partito curdo sono in prigione con l’assurda accusa di complicità al terrorismo, mentre l’unico vero comportamento da terrorista è quello di Erdogan. La tragedia dei Curdi è la drammatica replica, nei giorni nostri, di quelle terribili degli Armeni e degli Ebrei nel novecento.
Erdogan è un volgare dittatore alla stregua di Saddam Ussein o Gheddafi, a cui sono stati permessi inauditi atti di ferocia, perpetrati in occasione del finto colpo di Stato, che gli è servito, in violazione di qualunque diritto umano, a rimuovere centomila funzionari ed arrestarne ventimila, compresi magistrati e giornalisti, ed ancora la Comunità internazionale non è stata in grado di prendere la necessaria decisione di espellerlo dalla NATO, di cui conosce troppi segreti militari ed al cui interno ha uno dei più forti eserciti del mondo, che, come in questi giorni, usa per il suo progetto nazionale di potenza, con l’intento ormai palese di ricostituire un impero ottomano islamico, cancellando la rivoluzione democratica di Ataturk.
di Stefano de Luca – Rivoluzione Liberale