Una casa farmaceutica italo-svizzera con sede vicino a Monza produrrà lo Sputnik V. È la prima a farlo in Europa, ma Bruxelles avverte: “è una roulette russa”.
La notizia arriva come un fulmine, e in un cielo non proprio sereno: il Fondo governativo russo Russian Direct Investment Fund (Rdif) e la società svizzera ma con stabilimenti in Italia, Adienne Pharma&Biotech, hanno stretto un accordo per la produzione del vaccino Sputnik V in Italia e altre due aziende nel Lazio starebbero per fare altrettanto. La produzione – ha confermato la Camera di Commercio Italo-Russa che ha fatto da mediatrice – dovrebbe partire da giugno-luglio nello stabilimento di Caponago, vicino Monza e portare 10 milioni di dosi entro l’anno. L’Italia si appresta quindi a diventare la prima sede di elaborazione del vaccino russo anti-Covid in Europa. Da Bruxelles cala il gelo.
L’annuncio si incrocia infatti con una rivelazione di Reuters secondo cui l’americana Johnson&Johnson, su cui la Commissione Ue sta puntando dopo la dèbacle AstraZeneca, non ce la farebbe a fornire i 55 milioni di dosi previste per il prossimo trimestre, per “problemi di approvvigionamento”. L’atteso via libera dell’Agenzia europea del farmaco (Ema) al vaccino monodose, efficace anche contro le varianti sudafricana e brasiliana del coronavirus, è previsto per domani. E anche se dai vertici della multinazionale cercano di rassicurare, i dubbi restano. Intanto proprio l’Ema resta al centro delle polemiche con Mosca: il Cremlino esige le scuse ufficiali dell’Agenzia del Farmaco dopo che questa aveva definito l’utilizzo di Sputnik in questa fase “qualcosa di simile a una roulette russa”, mentre un portavoce della Commissione precisa che “non sono in corso colloqui per integrare lo Sputnik nella strategia Ue sui vaccini”.
Il vaccino russo – ricordano da Mosca – è stato giudicato efficace al 91% dalla rivista scientifica Lancet, ed è già stato autorizzato da 46 paesi nel mondo. “Le accuse contro di noi sono deplorevoli e inappropriate”, dice il portavoce del Cremlino Dimtry Peskov. Secca la risposta del presidente del Consiglio europeo Charles Michel “Non dovremmo lasciarci ingannare dalla Cina e dalla Russia, regimi con valori meno desiderabili dei nostri – ha avvisato – che organizzano operazioni molto limitate ma ampiamente pubblicizzate per fornire vaccini ad altri”.
La spinta di Mosca per espandere la produzione all’estero di Sputnik arriva mentre il Cremlino si sforza di rifornire un numero crescente di paesi stranieri che hanno effettuato ordini per oltre 1,4 miliardi di dosi. Il fondo Rdif ha già esternalizzato la produzione in India, Cina, Corea del Sud e Brasile, in impianti che tuttavia non avrebbero ancora raggiunto la piena produzione. Al momento sono 46 i paesi che lo hanno autorizzato e 18 quelli in cui viene già somministrato. Negli ultimi quattro mesi, il fondo ha diretto circa 1,25 milioni di dosi prodotte in Russia verso i mercati di esportazione. Di ieri la notizia che in Tunisia sono arrivate 30 mila dosi. Ma trovare stabilimenti disposti a produrre il vaccino all’estero non serve solo per garantirne l’approvvigionamento e l’export. Sono in molti a ritenere che se i russi riusciranno a fabbricare il loro vaccino dentro la Ue ci saranno più opportunità che alla fine Bruxelles lo accetti.
Anche a Roma la notizia dell’Italia che si appresta a diventare il primo paese europeo sede di produzione di un vaccino non ancora approvato dall’Ema viene accolta con freddezza. Si tratta di “un’operazione legittima che rientra nelle logiche di mercato” fanno trapelare da palazzo Chigi, che rinvia a quanto affermato dalla Commissione: per ora Sputnik ora non rientra nella strategia vaccinale dell’Ue. La Regione Lombardia, il ministero dello Sviluppo economico e il ministero degli Esteri affermano che non erano informati dell’accordo tra Adienne e il fondo governativo russo. Come a dire: nessun pregiudizio verso Sputnik, ma sui vaccini l’Italia si muove nella cornice europea.
Le polemiche su Sputnik, con continui rimpalli tra Bruxelles e Mosca, dimostrano quanto delicata sia avvertita la questione in Europa. Ma ciò che sappiamo davvero, a oggi, è che dal punto di vista dell’efficacia nel prevenire decessi e casi gravi un vaccino vale l’altro. Tutti sarebbero efficaci al 100%, Sputnik compreso.
Resta il fatto che rinunciando al vaccino russo per ragioni squisitamente ideologiche l’Europa continuerà non solo a dipendere dai ricatti dei grandi gruppi farmaceutici e a dimostrare la propria irrilevanza politica, ma rischierà anche di restar paralizzata economicamente. Proprio mentre Russia, Cina e Stati Uniti si preparano a ripartire.