I secoli diciannovesimo e ventesimo sono stati caratterizzati da quella che è andata sotto il nome di rivoluzione industriale, principalmente nei campi dell’energia, della meccanica, della telefonia, della conquista dell’aria e dello spazio. Sin dagli ultimi anni del secolo scorso è intervenuto un profondo cambiamento fondato su due elementi strettamente interconnessi tra loro: globalizzazione e digitalizzazione, che hanno avuto grande influenza sugli equilibri del mondo, sia tra che dentro i singoli Stati.
L’orizzonte di crescita della piccola e media borghesia si è rapidamente accorciato, quando non è del tutto scomparso, la finanza ha avuto un predominio assoluto rispetto alle grandi compagnie che estraevano, producevano ed esportavano prodotti energetici, alle aziende manifatturiere, anche di grandi dimensioni, ed a quelle dedite alla produzione di beni e servizi. L’entrata in campo di nuovi pochissimi attori del settore finanziario e di quello digitale ha fatto esplodere i precedenti equilibri a causa di una potenza economica illimitata in un mondo senza confini, privilegio di pochissimi soggetti detentori della tecnologia. Inoltre hanno goduto di una libertà assoluta di sottrarsi ai doveri tributari nei diversi Paesi in cui producevano la ricchezza, scegliendo i più fantasiosi paradisi fiscali e quindi riuscendo a costituire in pochi anni patrimoni immensi, in grado di competere o mettere in ginocchio molti Stati sovrani.
La prima difesa delle Nazioni occidentali, a cominciare dagli USA e poi seguita dalla BCE e dalle autorità monetarie degli altri Paesi, è stata quella di stampare moneta, creando una ricchezza fittizia ed indebitandosi.
Quello che fino a pochi decenni fa era un Paese sterminato, ma sottosviluppato, poverissimo e sotto il giogo di una ferrea dittatura comunista, come la Cina, ha avuto a sua volta la possibilità di divenire di fatto la prima potenza economica mondiale, grazie ad uno sviluppo enorme del PIL, per moltissimi anni persino a due cifre, facilitato da un costo bassissimo della mano d’opera ed associato ad una produttività elevatissima, insieme ad una accelerata evoluzione tecnologica, copiando e poi evolvendo le produzioni occidentali. Una economia mista tra Stato centrale fortissimo e capitalismo di rapina, ha assicurato uno sviluppo di una rapidità senza precedenti, sempre sotto lo stretto controllo delle autorità politiche, che hanno incarcerato, o persino condannato a morte, confiscando i relativi beni, tutti coloro che avevano deviato dalla rigorosa obbedienza alla ortodossia del Partito comunista al potere.
Al centro della scena mondiale si è collocato l’uomo più lucido ed insieme più cinico di tutto lo scenario, Xi Jinping, forte della consolidata crescita del sistema economico cinese, ma principalmente di un potere assoluto a prova di bomba, che deriva dal sistema dittatoriale comunista, coniugato con l’affarismo più spregiudicato e irrispettoso dell’ambiente. L’uomo, che ha realmente realizzato in pieno il moderno modello dittatoriale di stampo comunista, gioca come il gatto cl topo con Trump, che gli deve l’elezione e che ha bisogno di lui per la eventuale riconferma. Infatti per illudere i suoi elettori minaccia di giorno, per concordare poi gli equilibri complessivi con il capo cinese durante la notte e non può permettersi di fregarlo, perché sa che Il cinese potrebbe mettere sul tavolo la carta micidiale di possedere oltre metà del debito americano. In medio oriente Xi, d’intesa con Putin, ha regolato i rapporti con Erdogan, cui ha consentito di procedere al massacro dei Curdi, con il complice e vile assenso degli americani, salvando in Siria il dittatore Bashar al Assad, il quale altrimenti avrebbe fatto la fine di Gheddafi e di Saddam Hussein.
Gli Stati Uniti, a loro volta, si sono difesi, oltre che abbandonando il troppo costoso ruolo di gendarmi del mondo, riscoprendo una parola che sembrava dimenticata e quasi sepolta dalla polvere della storia: i dazi. Negli altri Paesi occidentali, venuta meno la precedente coesione assicurata dalla guida americana, è andato emergendo un riflesso difensivo, che si è data la nuova denominazione di Sovranismo, ma è niente altro che la riscoperta del Nazionalismo, che sembrava essere stato definitivamente abbandonato dopo le tremende esperienze del ventesimo secolo, in quanto responsabile delle guerre più sanguinose e distruttive della intera storia dell’umanità.
La difesa delle piccole patrie, nata dalla spregiudicatezza di voler cavalcare le diffuse paure di un mondo occidentale, che si avvia a perdere progressivamente i precedenti privilegi, ha fatto tramontare la vocazione verso un’Europa forte, protagonista all’interno dell’Occidente, al fianco degli Stati Uniti d’America. La prima a tentare di fuggire è stata la Gran Bretagna con la Brexit, ma movimenti rilevanti in direzione isolazionista hanno interessato anche molti Paesi dell’area continentale, cominciando da Francia, Italia, Spagna, Austria e la stessa Germania. Quest’ultima, in fase di declino, non è in grado di riprendere la guida di un’Europa allo sbando, lasciando spazio quindi ad un miserabile e diffuso nazionalismo, spesso con venature plebiscitarie, che mette in crisi i pilastri delle democrazie liberali.I socialisti sono quasi scomparsi, i popolari fortemente ridimensionati, anche per il rapido logoramento della leadership di Angela Merkel, mentre cresce una destra xenofoba, dichiaratamente neonazista.
Tale tendenza diffusa in tutto il Continente con l’aumento dell’isolazionismo, vede nell’UE il nemico politico e burocratico da abbattere, con in prima linea alcune Nazioni dell’Est, come Polonia o Ungheria, che si presentano quali campioni della nuova linea sovranista, dopo aver realizzato la loro ripresa dal disastro dei precedenti regimi comunisti, grazie all’aiuto ed al sostegno economico dell’Unione Europea, che ha commesso l’errore di ammetterli troppo presto al proprio interno, aggravando una condizione di squilibrio.
La frantumazione del legame politico e strategico tra i Paesi occidentali, assieme al disimpegno militare americano in Medio Oriente, ha favorito una supremazia della Russia, dove, dopo la fine dell’URSS, Putin ha sperimentato il primo effettivo modello sovranista grazie ad una grande furbizia, un esercito potentissimo e l’arma nucleare, che gli ha assicurato un predominio di fatto sull’intera area mediorientale , avviandosi ad estenderlo a gran parte dell’Europa. Questa è alla deriva con i suoi piccoli sovranismi di rincalzo, da quello francese sovralimentato alla Macron, che poi inciampa nei gilet gialli, a quello polacco e ungherese, o a quello salviniano in Italia, che finiranno col gravitare nell’orbita della Russia, dotata della forza per ricattare i singoli capi dei partiti nazionali, che ha lautamente finanziato, dalla Le Pen a Salvini, a Orban ed a moti altri.
Gli esangui Stati nazionali sono schiacciati, in particolare l’Italia, da un enorme debito pubblico, accumulato per comprare il consenso di quella minoranza di elettori che ancora va a votare e che pertanto si orienta prevalentemente verso i partiti di governo, anche se in una rincorsa infinita a chi promette di più, mentre tutte le formazioni politiche, magari con una maggiore attenzione verso i ceti da cui si aspettano il voto, fanno a gara per promettere qualcosa che non potranno mantenere o che comunque porterà un ulteriore dissesto della finanza pubblica. Esempio clamoroso sono state le inutili elargizioni del governo giallo verde, attraverso quota cento e reddito di cittadinanza, con il corollario clientelare dell’assunzione di tremila tutor per l’attuazione di una misura, palesemente inutile e produttiva solo di spreco di denaro pubblico e lavoro nero.
Il mondo occidentale sembra smarrito e sulla difensiva, ma deve reagire, recuperando innanzi tutto il necessario, antico legame geopolitico, nell’auspicio, sempre più flebile, che la parentesi di Trump alla guida degli USA si possa concludere al più presto, in modo da elaborare la strategia per un nuovo orizzonte delle democrazie liberali, che necessariamente dovranno cooperare tra loro per competere con Cina e Russia e ristabilire il loro primato nell’influenza su Africa e Medio Oriente, onde consentirne un autonomo sviluppo, abbandonando la vecchia cultura di stampo coloniale, che ancora talvolta permane, raggiungendo invece la consapevolezza che questa è l’unica strada per fermare sia il terrorismo che la emigrazione di massa.
L’Europa deve ripensare se stessa ed il proprio progetto istituzionale e di sviluppo economico e sociale. Il primo passo deve essere la definitiva scelta di procedere, come si era già auspicato qualche anno fa, a due velocità. Da una parte i Paesi che hanno adottato l’Euro, i quali devono rapidamente costituire gli Stati Uniti d’Europa, con un Presidente democraticamente eletto, un Parlamento con pieni poteri legislativi ed un Consiglio degli Stati, che funga, come un Senato, da seconda camera legislativa, oltre ad un esercito comune, una unica struttura di sicurezza interna e di difesa dei confini, una legislazione fiscale armonizzata, quale presupposto necessario per una politica economica e di bilancio unitarie, una giustizia federale comune per alcune fattispecie di reato comunitarie ed il rafforzamento di una unità anticorruzione comune. Con le altre nazioni europee, forse inclusa la Gran Bretagna, potrà procedere l’attuale Unione, intesa come zona di libero scambio e di progressivo avvicinamento legislativo in campo sociale ed economico, per pervenire gradualmente alla adesione agli Stati Uniti d’Europa di altri Paesi, al momento certamente non pronti a tale passo. Questa è l’unica strada per un recupero del ruolo che compete al vecchio mondo basato sui principi delle democrazie liberali, che dovranno misurarsi, anche con provvedimenti molto restrittivi sul piano della concorrenza, con quelli ad economia autarchica e dominati da regimi autoritari, senza cedere alle tentazioni peroniste ed alle pericolosissime lusinghe cinesi.
di Stefano de Luca