Del Pd non restano che macerie. Senza una guida  autorevole, senza una linea politica, senza strategia e soprattutto privo di una propria autonomia il partito è   letteralmente allo sbando. E allora non c’è da meravigliarsi se si sta rafforzando la corrente interna di coloro che spingono affinchè Matteo Renzi torni  finalmente alla guida del partito ridando dignità ai dem.

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Ma andiamo con ordine. Il sogno di proseguire il cammino legislativo con i grillozzi mantenendo a palazzo Chigi Conte è svanito. Come è crollata la speranza di mantenere gli spazi di potere finora conquistati grazie alla raffazzonata alleanza giallo-rossa.

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In questi giorni al Nazareno l’aria è pesante, le facce dei dirigenti assomigliano a quelle di un pugile suonato finito ko. E il più suonato di tutti è il segretario Nicola Zingaretti che cercando disperatamente di darsi un contegno si aggrappa ancora in maniera incomprensibile  all’alleanza con quegli inetti di grilluti e la butta lì: “Con l’incarico a Mario Draghi si apre una fase nuova che può portare il Paese fuori dall’incertezza creata da una crisi irresponsabile e assurda. Siamo pronti a contribuire con le nostre idee a questa sfida per fermare la pandemia. Non bisogna perdere la forza e le potenzialità di una alleanza con il Movimento 5 Stelle e con Leu”.

Ancora con la scusa della pandemia, ancora con la potenzialità – ma quale potenzialità? – dell’accozzaglia di governo nata male e finita peggio. Ma ora al di là di tutto Zinga si rende conto di ciò che dice? Non è in grado di capire che sta raccontando da troppo tempo le stesse banalità? Ma nelle sue mani il Pd potrà mai aspirare a una vittoria?

Nel giro di un paio di ore abbiamo assistito a una clamorosa capriola con doppio avvitamento di Zingaretti che da strenuo difensore di Giuseppi è stato il primo a genuflettersi rapidamente dinnanzi a super Mario. Del resto questo comportamento ambiguo è tipico del segretario – l’esatto opposto di ciò che dovrebbe caratterizzare un vero leader – che ha sempre dimostrato di essere persona indecisa, ondivaga, incostante, insicura.

Siamo dunque abituati ai suoi repentini quanto imbarazzanti dietrofront che lasciano senza parole. Come il suo appoggio all’avvocato del popolo che venuto dal nulla miracolosamente è stato in grado di far scattare un feeling sconcertante tra Zinga e i funamboli di palazzo stellati, gli stessi che fino a pochi istanti prima dell’accordo avevano insultato pesantemente i dem in ogni occasione. E invece – ma toh che strano – è bastata una parolina di Giuseppi ed è scattato lo “straordinario” idillio. Così improvvisamente il Pd, nonostante fosse uscito con le ossa a pezzi dalle politiche, è riuscito – da sconfitto – a tornare come d’incanto nelle stanze del potere piazzando i propri uomini nel posti chiave – anche a Bruxelles – dopo la caduta del governo giallo-verde.

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Insomma, adesso il copione si è ripetuto. I camaleonti hanno cambiato repentinamente schema di gioco secondo le convenienze, naturalmente. Cambio di passo e Zinga Arlecchino servo di due padroni ha buttato a mare Conte e si è di nuovo steso con l’arrivo di Draghi. Non parliamone poi dei saltafossi grilluti che hanno detto tutto e il contrario di tutto. Traditori seriali sono disposti a qualsiasi cosa pur di tenersi stretta la poltrona lautamente retribuita – molti di questi buoni a nulla un mestiere neppure lo hanno – consapevoli che se si dovesse tornare al voto anticipatamente in parecchi non vedrebbero neppure con il binocolo il Parlamento. Se ne tornerebbero nell’anonimato da cui erano arrivati tra gli insulti di coloro che li avevano votati.

Così tra una sceneggiata e l’altra i cambia casacca stellati – con il costante spettro di perdere il posto –  non hanno disatteso i pronostici – del resto scontati – dei bookmakers e da ipocriti di razza sono già pronti a lisciare il pelo a colui che ha governato la Banca Centrale Europea. E come al solito il primo tra tutti che si è affrettato a stendere il tappeto rosso per il nuovo ingresso è stato Giggino Di Maio, il rappresentante più autorevole dei voltagabbana del circo grilluto. E pensare che questi incapaci volevano addirittura uscire dall’euro dichiarando guerra ai poteri forti e ai burocrati di Bruxelles.

Dopo il fallimento su tutti i fronti ora nel Pd c’è chi tenta di analizzare la situazione e dare spiegazioni, di trovare qualche giustificazione alla debacle politica. Ma il vero errore è stato quello di accettare la folle sudditanza a una massa di incapaci opportunisti quali sono gli adepti del guru genovese. E peggio ancora incatenarsi mani e piedi a mister pochette, il principe dei salta-fossi. Insistono, Franceschini e compagni, sul fatto che è stato compiuto ogni sforzo per mantenere in piedi il governo ma tutta la colpa del disastro è di Renzi. E allora visto che si era capito che il toscano sarebbe andato fino in fondo perchè un partito come il Pd non è stato in grado di individuare alternative invece di rimanere testardamente inchiodato e schiacciato sui grillozzi e a Giuseppi rinunciando ad altri spazi di manovra? Insomma, in casa dem è tempo di recriminazioni e accuse reciproche dopo essere stati travolti dal ciclone Renzi che da fuoriclasse politico ha compiuto un capolavoro: ha rottamato Conte, umiliando Zinga, e ha fatto entrare in gioco l’uomo che voleva: Mario Draghi.

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A questo punto non è escluso che Renzi con la sua Italia Viva non voglia compiere un altro spericolato passo sfruttando il vento in poppa: creare un soggetto politico di centro facendo acquisti proprio in casa Pd, soprattutto tra gli ex compagni che pur rimanendo nel partito si sono  sempre sentiti vicini alla corrente del senatore di Scandicci. E pare non sarebbero pochi quelli disposti a seguirlo. È per questo che negli ultimi giorni serpeggia il timore di una spaccatura del partito.

Sta di fatto che ora il Pd deve riprendersi – e in fretta – dalla batosta subita e ricompattarsi – se ci riuscirà è tutto da vedere – su Mario Draghi riflettendo sugli errori commessi. In particolare su quello di aver puntato tutto su Conte pur di tenere in vita il patto con i grillozzi senza mettere in conto che questo poteva portare a una sonora e dolorosa sconfitta. E’ mai possibile che Zinga e compagnia cantante non abbiano capito che il presidente Mattarella aveva già nel cassetto la carta Draghi?

Non solo. Ora nel Pd aleggia un’altra pesante incognita: qualora Salvini decidesse di sostenere l’ex governatore della Bce come si muoverebbero i dem riguardo a una possibile convivenza forzata nella stessa maggioranza con la Lega? Considerando inoltre che se se non dovessero accettare la decisione di Zinga e compagni suonerebbe come uno schiaffo al Capo dello Stato che ha voluto fortemente Draghi.