In occasione della sua ventesima missione in Italia il capo della diplomazia dell’amministrazione Trump Mike Pompeo ha chiesto al Vaticano di stracciare l’intesa con il governo cinese siglata due anni fa che dovrebbe essere rinnovata nelle prossime settimane, affermando che, se lo facesse, metterebbe a rischio la sua autorità morale.

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“Due anni fa la Santa Sede ha raggiunto un accordo con il Partito comunista cinese, sperando di aiutare i cattolici cinesi. Eppure gli abusi sui fedeli da parte del Partito comunista cinese sono solo peggiorati. Il Vaticano mette in pericolo la sua autorità morale, se dovesse rinnovare l’accordò”, ha scritto Pompeo in un tweet.

Tuttavia Papa Bergoglio tiene duro e sembra che non abbia nessuna intenzione di arretrare di un passo facendo intendere di aver intrecciato a tutt’oggi una certa empatia con i gerarchi di Pechino. Del resto questo non è una novità. Da tempo si contano ormai diversi passaggi in termini geopolitici che portano a pensare all’esistenza di un sottile filo rosso che collega il Vaticano al dragone cinese.

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L’elemento dunque sostanziale è che il Pontefice  mostra in maniera evidente di avere una chiara preferenza nella contesa politica americana. Inoltre, altro elemento che conferma la deriva verso il gigante asiatico, Francesco dimostra di non cogliere la reale portata dell’azione diplomatica della Casa Bianca lanciata attraverso il segnale di Pompeo. Ora senza tanti giri di parole andrebbe compreso che in questa partita è in gioco l’autorità morale del papato compromessa dagli accordi con un regime autoritario come quello cinese. Eppure l’aspetto curioso è che tutto ciò pare rimbalzare su un muro di gomma costituito dalla incredibile ostinazione di Francesco, ostinazione che finisce inevitabilmente con il mettere in imbarazzo anche i vertici istituzionali del nostro Paese.

Non solo. A rafforzare questa tesi c’è il rifiuto di Bergoglio a concedere un’udienza riservata a Mike Pompeo dimostrando anche stavolta il suo debole per la Cina. E rimanendo in argomento non possiamo certo dimenticare che il Pontefice non è nuovo a questi singolari atteggiamenti partigiani che lasciamo spazio a parecchi interrogativi: tempo fa ha rifiutato di ricevere l’anziano cardinale Zen, 88enne, arrivato a Roma proprio per incontrare il Papa a proposito della difficile situazione che sta attraversando la Cina riguardo i diritti civili che da quelle parti vengono regolarmente calpestati. Che dire poi di un altro episodio che ha sempre a che fare con i rapporti tra Chiesa cattolica e regime cinese. Ci riferiamo stavolta a un gesto pubblico di piazza avvenuto davanti ai media internazionali e che possiamo considerare davvero imbarazzante per il pontificato di Bergoglio: lo schiaffo dato a una fedele asiatica che lo aveva trattenuto per un braccio solo perchè voleva informarlo riguardo l’oppressione dei cattolici da parte del partito comunista cinese. Insomma, una serie di episodi che delineano un quadro non particolarmente  edificante per il Santo Padre. E visto l’andazzo si potrebbe anche ipotizzare che lo stesso Pompeo, sfidando apertamente Bergoglio sulla Cina, avesse messo in conto di ricevere un rifiuto da parte di quest’ultimo.

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Ora, sempre rimanendo nel campo delle ipotesi, la situazione farebbe pensare che Bergoglio auspichi un cambio della guardia alla Casa Bianca convinto che un democratico – magari Biden? – potrebbe alleggerire il pressing americano su Pechino e Vaticano. Quindi, in questa particolare occasione della visita del segretario di stato Usa, il Papa potrebbe aver preferito prendere tempo accampando un pretesto: con l’imminenza delle presidenziali americane meglio sospendere eventuali vertici durante la campagna elettorale. In definitiva meglio non incontrare Pompeo anzichè riceverlo e trattarlo in maniera fredda e distaccata, questa sarebbe la versione trapelata dal Vaticano che tuttavia non convince.

Sta di fatto che così facendo Bergoglio sbaglia ancora. Intanto perchè mostra, come detto, di avere una chiara preferenza nella contesa politica americana. Inoltre non comprende la reale importanza della sfida di Pompeo. Sfida giocata interamente sul piano dell’autorità morale del papato compromessa dagli accordi con un regime autoritario come quello cinese.

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Come possiamo dunque rimanere oggi indifferenti dinnanzi al silenzio assordante del Vaticano sullo sterminio degli Uiguri, la repressione dei Falun Gong o la violenza a Hong Kong. Non parliamo poi del silenzio inconcepibile del Papa relativamente alle violenze a cui sono sottoposti i cattolici cinesi. Un pontefice non dovrebbe mai sottrarsi al confronto su temi così delicati e vitali per il cattolicesimo. Come non capire che assumendo tale posizione  Bergoglio abdica di fatto al proprio ruolo esponendosi pericolosamente alla condanna della storia. E la storia, lo sappiamo, insegna: Pio XII – Papa Pacelli – venne duramente accusato per non avere condannato con sufficiente forza l’orrore dell’Olocausto. Ma evidentemente a Bergoglio questi aspetti non interessano e non se ne cura minimamente.

Ora la testardaggine di Bergoglio sulla questione Cina ha creato inevitabilmente una valanga di ripercussioni con conseguenze non trascurabili. Venendo alle faccende di casa nostra, ad esempio, l’ostinazione di Papa Francesco pesa come un macigno per la diplomazia italiana che con l’arrivo di Pompeo tenta in tutti i modi di rafforzare la propria immagine atlantica. Beninteso, la faccenda non ha natura contingente, tuttavia coinvolge le fondamenta delle massime istituzioni dello Stato. Il legame tra Santa Sede e l’Italia è storicamente molto stretto. Tanto è vero che oggi il Vaticano può fare affidamento su una vasta schiera di cattolici devoti impegnati in politica a partire dal capo dello Stato Sergio Mattarella. Ma considerando gli attuali equilibri che regolano la politica internazionale tale rapporto appare molto più sbilanciato oggi rispetto a quanto fosse ai tempi della Democrazia Cristiana. Riuscirà qualcuno a riportare la barra al centro?