Che sarebbe nata una ammucchiata lo si era immaginato, considerando i presupposti che avrebbero dato seguito a una rete di inevitabili compromessi. Ma che addirittura la montagna partorisse un topolino non ce lo aspettavamo. Mario Draghi, decantato come “salvatore della Patria, la lunga mano di Dio, l’uomo della Provvidenza” dal prestigio internazionale ammirato da tutti, poteva fare decisamente meglio.
Il suo governo nasce nel segno delle contraddizioni interne e dei conflitti latenti. Dai grillozzi che dovranno gestire la cosa pubblica con i ministri di Forza Italia – anche se per i pentastellati non sarà questione indigeribile visto che hanno ampiamente dimostrato di essere spettacolari voltagabbana pronti a cambiare idea e convinzioni pur di non perdere i privilegi della poltrona – alla sinistra estrema di Leu che se ne andrà a braccetto con tre ministri leghisti, sino ai dissidi gialloverdi con Daniele Franco, neo ministro dell’economia e delle finanze. Non male come compagine che ha l’ambizione di rimettere in piedi un paese.
A far parte dell’esecutivo possono essere stati chiamati da Draghi anche personaggi di spessore, questo è fuori discussione. Ma la certezza è che purtroppo ve ne sono anche altri del governo appena liquidato che certo non meritavano di essere riproposti. Si comprende dunque quanto abbia pesato l’azione di compromesso del nuovo premier costretto ad assecondare i soliti capricci delle forze politiche con la benedizione del Quirinale. Ne è uscita perciò una squadra di unità nazionale, così viene considerata dai più, con l’inserimento dei famosi tecnici, chiamati direttamente da Draghi, ai quali sono stati affidati dicasteri chiave.
Resta comunque il fatto che ci aspettavamo qualcosa di meglio, pur essendo consapevoli che a Draghi è stato affidato un compito non certo facile in un memento particolarmente delicato per il Paese. Ma reggerà l’alchimia escogitata da “super Mario”, ovvero quella di aver messo in piedi un governo facendo contenti tutti, anche i partiti più riottosi, con l’obiettivo di arrivare fino in fondo alla legislatura e salvare il paese dal baratro? I dubbi inevitabilmente sorgono e non tranquillizza certo che l’ex governatore della Bce abbia piazzato nei ministeri più pesanti uomini di sua fiducia.
Avremmo preferito una maggiore discontinuità, questo è certo, ma così non è andata. Avremmo preferito una secca virata e non ritrovarci più Roberto Speranza e Giggino Di Maio lasciandoceli finalmente alle spalle. Ma anche questa è stata una speranza caduta nel vuoto. Sono tornati quindi tutti in passerella pronti per l’immancabile foto di rito al Colle dopo il consueto giuramento.