I negoziati si prolungano e c’è qualcuno che non vede l’ora di far saltare il tavolo.
La recita sembra non avere fine e il confronto sembra essersi impantanato. La prospettiva di un governo Lega-M5S preoccupa sempre di più malgrado le incertezze che continuano a pesare su un presunto contratto che riguarda il cosiddetto governo del cambiamento. I vertici si moltiplicano e nulla è andato come previsto dai due leader. Al termine di questi sei giorni di trattative intense e di profusioni di ottimismo lunedì doveva essere la giornata della svolta ma così non è andata. Dopo l’ennesimo giro di consultazioni condotte dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella i due vincitori delle politiche del 4 marzo scorso dovevano rendere pubblici i termini della loro alleanza e da parte sua il capo dello Stato doveva designare il candidato investito alla presidenza del consiglio. Per quanto inatteso questo esito avrebbe messo fine a una crisi post-elettorale durata oltre due mesi anche se avrebbe fatto precipitare la terza economia della zona euro – ricordiamo che l’Italia non è la Grecia – in un’altra probabile fase di incertezza, almeno questo è il timore che si respira tra i partner europei.
Ma nel primo pomeriggio di lunedì quando il giovane ed elegante leader pentastellato Luigi Di Maio è comparso davanti ai cronisti il tono si è fatto improvvisamente più prudente. Lo stesso ha evidenziato che con Salvini ha trovato, almeno per il momento, l’ intesa di non evocare il nome del possibile premier in pubblico. Ovvero in altre parole questa dichiarazione la si potrebbe tradurre che i due dirigenti stanno confrontandosi soprattutto su questo. Tuttavia alcuni interrogativi restano. Anche se tale passaggio ancora in sospeso potrebbe essere nei fatti, ossia che la questione del profilo politico e l’identità del futuro premier sia andata a sbattere su uno scoglio, dall’altra parte si potrebbe azzardare che il nodo cruciale siano invece i punti dei rispettivi programmi che non trovano le opportune convergenza. Pensiamo al conflitto di interessi, alla faccenda immigrazione, alla sicurezza, alla prescrizione, alle grandi opere. Senza dimenticare alla riabilitazione di Berlusconi arrivata proprio nel bel mezzo dei serrati confronti e che potrebbe imprimere una svolta mandando tutto all’aria.
Intanto Di Maio ha chiesto a Mattarella ancora tempo per finalizzare il patto e organizzare un voto in rete in maniera che gli aderenti al Movimento si possano esprimere. Poi è stato il turno di Salvini che ha usato toni ancora più cauti: “Facciamo sforzi considerevoli per dare un governo al Paese perché se dovessimo ragionare solo nei termini dei nostri interessi supportati oltretutto dai sondaggi la Lega dovrebbe chiedere immediatamente di tornare alle urne”. Bene, in parole povere il capo leghista ha lanciato la chiara minaccia di rompere da un momento all’altro i negoziati e tornare al voto. Del resto quest’ultimo ne ha approfittato elencando una serie di obiettivi che non trovano ancora alcune convergenza con la tabella di marcia dei 5 Stelle ricordando, ad esempio, la posizione antieuropea della Lega. Infine, per non essere da meno rispetto al potenziale alleato, si è inventato pure lui una consultazione che coinvolga la base leghista.
Insomma, le distanze rimangono anche se Salvini e Di Maio almeno una convergenza l’hanno trovata: la prudenza. E nel momento stesso in cui la situazione richiederebbe da parte di entrambi i compromessi più dolorosi. Certo è che nel resto i due hanno comportamenti diametralmente opposti. Di Maio cerca di apparire come un leader responsabile, cosciente degli impegni internazionali dell’Italia e prosegue quella strategia, avviata da mesi, di istituzionalizzazione del Movimento. Mentre da parte sua Salvini tiene duro e non ha nessuna intenzione a mettere il silenziatore riguardo agli attacchi all’establishment di Bruxelles e al resto delle istituzioni europee. Reclama mani libere su immigrazione e sicurezza, temi su cui la Lega sostiene posizioni da sempre parecchio estremiste.
Al di là dei disaccordi programmatici, che potrebbero essere superabili visto quanto è vago il cosiddetto “contratto del cambiamento” il nodo da sciogliere torna ad essere quello legato a chi dovrà presiedere il governo. E la realtà sembra ancora più complessa per il fatto che non tocca solo alla Lega e al M5S proporre chi sarà a guidare l’esecutivo ma anche al presidente Mattarella al quale incombe la responsabilità di dare l’investitura. Il Quirinale ha cercato la settimana scorsa di lanciare una personalità neutra dal profilo tecnico ma Salvini e Di Maio hanno subito rigettato tale ipotesi proponendo invece esponenti politici rispetto ai quali però sono emersi una serie di veti incrociati prima dell’uno e poi dell’altro. Alla fine la ricerca di un primo ministro sembra ormai un problema insolvibile. Mattarella ha accordato ancora qualche giorno ma in caso di fallimento il ritorno alle urne appare inevitabile.