I più pericolosi:
il Ministro Franceschini e il presidente del Pd Orfini
In fatto di tradimenti Matteo Renzi ne sa qualcosa. Circa tre anni fa fu proprio lui a colpire alle spalle Enrico Letta, allora presidente del consiglio: “Enrico stai sereno“, gli aveva detto poche ore prima di scippargli il Governo. Senza poi dimenticare che Renzi, per rafforzare la propria maggioranza e garantirsi la permanenza a palazzo Chigi, non si è fatto molti scrupoli a circondarsi di doppiogiochisti quali Alfano, che ha abbandonato colui che lo aveva politicamente inventato, ovvero Belusconi, per arrivare poi a Denis Verdini, uno degli uomini di fiducia più vicini all’ex Cavaliere, passato come se nulla fosse nello schieramento opposto.
Ma adesso gli schemi sono cambiati e Renzi teme seriamente di essere lui la vittima destinata al sacrificio, nonostante sia uscito dalla kermesse del Lingotto rafforzato, almeno in apparenza. La tensione tra i Dem rimane alta, gli equilibri interni sono incerti e la squadra degli immortali voltagabbana è sempre pronta a fare nuovi acquisti.
Facendo un po’ di conti degli oltre 400 parlamentari del partito risulta che una settantina sarebbero fedeli al toscano. Meglio comunque usare il condizionale visto che già qualcuno di questi ha mostrato una certa insofferenza nei confronti dell’arroganza del capo che dopo la débâcle referendaria subita il 4 dicembre vuole riprendersi il prima possibile partito, Governo e il Paese.
Tuttavia va considerato che la corrente più forte è quella che fa riferimento al ministro della Cultura Dario Franceschini che controllerebbe poco meno di un centinaio tra deputati e senatori. Non male per uno che di ambizioni ne ha parecchie. Oltretutto è risaputo che se Renzi è riuscito a governare per circa mille giorni è anche grazie all’attivismo parlamentare svolto dagli eletti di area franceschiana. Insomma, Renzi che ha fatto fuori Letta deve la tenuta sia del suo esecutivo che dello stesso partito a due personaggi che in fatto di cambi di bandiera arrivano da lontano: Dario Franceschini, appunto, e il presidente del partito, il giovane arrivista Matteo Orfini, capobastone di una quarantina di Giovani Turchi, la corrente di sinistra dem.
Interessante il curriculum politico dei ministro ferrarese esperto in curiose acrobazie interne: nel 2009 era il candidato veltroniano alle primarie contro Bersani e una volta perso il confronto non tardò a saltare sul carro del vincitore, Bersani, appunto, che lo premiò nominandolo capogruppo alla Camera. Una fedeltà, quella di Franceschini nei confronti di Bersani, che durò poco meno di 4 anni quando in occasione delle primarie del 2013, avvertendo che il vento era cambiato, decise di appoggiare il rottamatore Renzi. E gli andò bene. Mentre l’altro campione del trasformismo è Orfini che pugnalò Bersani qualche mese più tardi, dopo l’esito delle primarie. Un tradimento, quest’ultimo, in favore di Renzi che lo nomina sul campo presidente del partito. Mica male per uno che era entrato in politica con D’Alema che lo assunse come portaborse e lo portò con sé a Bruxelles. E ovviamente Orfini, quando ne ha occasione, spara a zero contro il suo ex mentore.
In definitiva di tali professionisti del trasformismo non ci si può fidare, meglio tenerli d’occhio e non dargli le spalle. E questo Renzi lo sa bene visto che pure lui arriva dalla stessa scuola. Oltretutto adesso il clima è ancora più incandescente con la questione primarie per la corsa alla segreteria.
La scelta del ministro della giustizia Andrea Orlando di scendere in campo ha preso in contropiede tutti i renziani che ora tremano intravedendo l’eventualità che possa arrivare ad Orlando un appoggio esterno da parte dell’area bersaniana e del resto dei scissionisti che hanno abbandonato il Pd. Ma subito pronti a rientrare se il rottamatore sarà rottamato.
E questo potrebbe anche verificarsi qualora Franceschini decidesse di tradire l’ex presidente del consiglio e schierarsi improvvisamente con il Guardasigilli. Una ipotesi che terrorizza Renzi ben consapevole che la candidatura Orlando, a differenza della sua, parla di fatto alla pancia della base del partito, agli iscritti più fedeli che non hanno mai totalmente digerito i toni autoritari e strafottenti dell’ex sindaco di Firenze fin dal suo ingresso nello scenario nazionale. Orlando, mettendosi in gioco, si è messo quindi di traverso con una candidatura che potrebbe rivelarsi parecchio insidiosa per Renzi.
E pensare che Franceschini, Orfini, Orlando e lo stesso Gentiloni sono sempre stati dei gregari, degli eterni secondi destinati a vivere nell’ombra di chi comanda davvero. Tuttavia con il vuoto d’aria che la politica ci riserva quelli che venivano considerati i peones parlamentari hanno preso inaspettatamente quota e il destino potrebbe riservare loro un posto al sole e far perdere a Renzi il treno. L’ultimo!
Ma di tradimenti, si sa, è lastricata la storia della politica nostrana.
Sul carro del vincitore non ha tardato a salire un’altra fuoriclasse del cambio di casacca: la presidente della Regione Friuli Debora Serracchiani prima in quota all’area di Franceschini, poi saltata in quella bersaniana e ora si ritrova magicamente vicesegretario del Pd. E pensare che solo qualche anno fa di Renzi diceva: “Sarebbe meglio rimanesse a Firenze a fare il sindaco“.Altro fenomeno della carriera rapida è l’attuale ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione Marianna Madia voluta a capo del dicastero dallo stesso Renzi dopo che la signora si fece le ossa come collaboratrice dell’agenzia Arel di Enrico Letta, poi fu candidata da Veltroni alla Camera nel 2008 e nel 2011 inserita nel comitato scientifico della rivista Italianieuropei di D’Alema.
Si arriva poi a un altro voltagabbana di turno come Gennaro Migliore, che da Rifondazione passa in Sel per approdare in ultimo tra i fedelissimi renziani al punto che ne viene premiato con la nomina a sottosegretario.
Del resto cosa potrebbe dire oggi Massimo D’Alema che fece fuori Prodi nel ’98 quando presiedeva il Governo.