Renzi, probabilmente, vorrà evitare l’accusa di bloccare il Recovery Plan; presumibilmente darà il suo via libera, e voterà anche lo scostamento di bilancio. Poi sì, molto probabilmente aprirà la crisi
Se si deve credere a quello che si dice, le chiacchiere (e pazienza se sembra una contraddizione), stanno a zero. Si prenda il leader di Italia Viva, Matteo Renzi: «Il governo è immobile: si vive di rinvio in rinvio. Vogliamo sciogliere i tanti nodi aperti. La risposta è stata sprezzante e sorprendente: ci vedremo in Parlamento, ha detto Giuseppe Conte. Evidentemente è già convinto di avere i voti in Aula, forse di Forza Italia: mi sembra un errore politico e un azzardo numerico. Ma auguri a lui e all’Italia». Come scrive Mario Puzo ne ‘Il Padrino’, «Siamo ai materassi»; e non da ora. Oppure, come i proverbiali ladri di Pisa, di giorno fanno finta di litigare e, di notte, vanno a rubare insieme? Renzi ribadisce anche in queste ore la sua linea, e continua a minacciare la crisi di governo. Conte e l’esecutivo punta sull’approvazione del Recovery Fund in un Consiglio dei ministri da convocare in settimana, molto probabilmente domani, poi un vertice per tentare di chiudere un patto di legislatura e disinnescare la crisi aperta da Italia Viva. Un rischiosissimo braccio di ferro, ed è impossibile azzardare un qualche esito fondato sulla razionalità. A volte, infatti, si innescano meccanismi che nessuno a un certo punto sa come neutralizzare: piccole slavine che si trasformano in disastrose valanghe. Ettore Rosato, che di Renzi è fedelissimo, dice: «È il presidente del Consiglio a staccare la spina del governo, non noi».
In soldoni, come in una partita di poker. Siamo al ‘vedo’. Conte vuole andare in Parlamento e contare i voti? «Va bene, se ci sfida, l’accettiamo». E ancora: «Non apriamo la crisi ma lasciamo le poltrone». In un documento con 30 punti, Italia Viva presenta le sue proposte: si va dal Mes alla questione delle Autostrade, dalla riforma del fisco alle riforme per le prossime comunali, e perfino il Ponte sullo Stretto. «Vasto programma», per dirla con il generale De Gaulle; ma era la risposta a chi gli proponeva di lanciare una campagna per eliminare i cretini.
E’ comunque un fatto che dal PD sono arrivati –è questo il bilancio dell’ultima direzione del partito– dei paletti chiari, e non sarà semplice eluderli: «No a governi tecnici o ad aperture a destra». Dunque, se cade il governo Conte 2, elezioni inevitabili? Detto, ma contraddetto anche. Perché si parla di una urgente e necessaria, massiccia, campagna vaccinale per contrastare la seconda ondata che si fonda con la terza; Recovery da scrivere; rischio quasi certo che le elezioni siano vinte dalla coalizione Salvini-Meloni-Berlusconi, con conseguenze rilevantissime: il prossimo Presidente della Repubblica espressione di quel fronte; stessa cosa per gli eletti per la Corte Costituzionale e il Consiglio Superiore della Magistratura, e le decine e decine di altre importanti nomine.
Ultimo, non ultimo, quello che ricorda Pierluigi Bersani: tra qualche mese si dovrà fare i conti con una brusca e pesantissima situazione economica, che culminerà con la fine del blocco dei licenziamenti. In questo contesto una crisi al buio, elezioni anticipate e di fatto vuoto di potere per mesi, risulterebbe micidiale.
C’è modo di arrestare questa corsa verso il vuoto? Il Presidente della Repubblica, nel suo messaggio di fine anno, ha lanciato l’appello ai ‘costruttori’. Lo si è lasciato cadere. Più che discrete e felpate, le mosse del Quirinale. Riuscirà Sergio Mattarella a vincere la difficilissima scommessa di creare le condizioni per ‘un anno di lavoro pieno’?. E’ la domanda da un milione di dollari.
In passato è accaduto che governi si dimettessero, e venissero rimandati alle Camere, ottenendo la fiducia da parte di quegli stessi partiti che l’avevano negata. Nel 1987 Giovanni Goria si dimette perché un partito della coalizione fa un passo indietro. Ottiene il reincarico dal Presidente della Repubblica di allora (Francesco Cossiga); e la stessa coalizione concede la fiducia. E’ accaduto nel 2010: Gianfranco Fini toglie la fiducia a Silvio Berlusconi; il Presidente della Repubblica (Giorgio Napolitano), lascia decantare la situazione per circa un mese, il tempo necessario per votare la Finanziaria; il tempo necessario per creare i cosiddetti ‘responsabili’; Berlusconi ottiene la fiducia. Ma erano altri tempi, politicamente diversi, e con un’altra classe politica stellarmente lontana dall’attuale.
Per ora conviene stare ai fatti: il capodelegazione del PD, Dario Franceschini, e del capogruppo alla Camera, Graziano Delrio, invitano Conte ad assumere un’iniziativa che sia sensibile alle rivendicazioni di Nicola Zingaretti: no al voto anticipato, ma un possibile diverso esecutivo. Il Ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, in queste ore recapiterà ai partiti della maggioranza il documento organico sul Recovery Plan. Si vedrà con che esito e come sarà accolto da Italia viva. Renzi, probabilmente, vorrà evitare l’accusa di bloccarlo; presumibilmente darà il suo via libera, e voterà anche l’annunciato e inevitabile scostamento di bilancio. Poi sì, molto probabilmente aprirà la crisi. Renzi punta chiaramente a un nuovo esecutivo non più guidato da Conte. C’è chi ancora confida che tutto si possa risolvere con un valzer di ministri. Francamente, al punto in cui si è arrivati, sembra difficile che tutto si possa risolvere in questo ‘semplice’ modo.
di Valter Vecellio