Ha perso il referendum ma quel 40%

è tutta roba sua

imageSe avesse vinto il trionfo sarebbe stato tutto merito suo. Invece ha perso e allo stesso modo la sconfitta è tutta sua. E lui lo sa.Tuttavia dobbiamo rendere l’onore delle armi e considerare che il Fiorentino è stato sì umiliato dalle urne ma è riuscito a intercettare una considerevole parte del consenso popolare che ha superato di poco la soglia del 40%.

Un patrimonio che è esclusivamente suo. Solo suo il merito di averlo saputo conquistare. Che poi il giovane Matteo possa o abbia la voglia di ripartire da qui è un’altra storia. Sappiamo bene che nel pacchetto renziano vi sono voti provenienti dai diversi schieramenti e che nei prossimi confronti elettorali potrebbero spostarsi altrove. Ciò nonostante viene da chiedersi dove potrebbero confluire considerato che  attorno c’è il deserto, a parte lo tsunami Grillo.
L’elettrocardiogramma di Forza Italia  ha dato qualche segnale di vita proprio grazie alla debacle del presidente del consiglio, Lega e FDI tentano di  fare il Trump di noialtri cavalcando populismi dal fiato corto mentre non è neppure da tenere in considerazione il Ncd dell’inutile  Alfano e il resto della truppa centrista moderata priva di spina dorsale. Nel bottino di Renzi c’è dentro un po’ di tutto, certo, e qualcosa potrebbe essere perso per la strada.
Però l’emorragia sarebbe comunque limitata perché il grado di fiducia degli italiani nei suoi confronti è di qualche punto inferiore al 40%. E questo non ha nulla a che vedere con il quesito referendario
Poche settimane prima dell’apertura dei seggi solo una piccola parte degli italiani, poco meno del 15%, ammetteva i conoscere la costituzione e i cambiamenti che la riforma avrebbe comportato mentre oltre il  50% dichiarava di conoscere poco la Carta tantomeno le modifiche proposte. Dunque la materia oggetto della consultazione popolare non ha pesato per nulla. Gli elettori si sono espressi quindi solo ed esclusivamente sulla persona: con Renzi o contro Renzi. Il resto è fuffa. Del resto era stato lui stesso a personalizzare il voto, anche se in un secondo momento aveva capito di aver commesso un errore gravissimo tentando in seguito di scrollarsi di dosso questo peso. Ma era ormai troppo tardi.
Comunque la partita non è finita e il toscano può rimettersi in gioco. Del resto senza di lui il Pd sarebbe polvere al vento.
Una cosa è certa: se dovesse tornare in campo si guardi bene alle spalle. Matteo è circondato da personaggi che senza il suo successo sarebbero rimaste mezze tacche, semplici attacchini di partito di periferia. Ancora prima che chiudessero le urne, fiutando già l’imminente disfatta, i salta fossi di professione hanno cominciato a tramare guardandosi in giro terrorizzati, pronti a cambiare casacca prima di affogare assieme al capo caduto in disgrazia. Tra i campioni del trasformismo il ministro Dario Franceschini: non per niente tra i democratici è soprannominato Tarzan per la facilità acrobatica che ha nel saltare da una corrente all’altra. Il cellulare del barbuto ferrarese  nelle ultime ore è letteralmente incandescente. Dicono che abbia chiamato addirittura esponenti  di centrodestra pur di mantenere  un posto al sole. Poi c’è l’altro, il presidente del Pd Matteo Orfini, cresciuto all’ombra di D’Alema, che divorato dall’ambizione ha abbandonato tutto e tutti pur di aggrapparsi  con le mani e con i piedi alla stella nascente di Renzi. Ora però il suo aspetto è cambiato, non ha il solito sorrisino snob radical chic di sinistra, i suoi occhi poco sinceri adesso sembrano cercare disperatamente una scialuppa di salvataggio. Ma voi vi fidereste di gente così? Per questo Renzi deve stare attento, se decide di tornare a ruggire si liberi prima delle scorie interne di un partito che senza di lui non esiste.
L’unico alleato con cui potrebbe trovare una possibile convergenza è Berlusconi.
Il resto lo lasci perdere.