Non solo una maggioranza assoluta, ma una maggioranza schiacciante. Come i conservatori non vedevano dai tempi di Margaret Thatcher. Il partito conservatore britannico si è quindi assicurato la maggioranza nella Camera dei Comuni, la camera bassa del Parlamento britannico. Il partito guidato dal primo Ministro Boris Johnson, con quasi tutti i seggi ormai assegnati, ne ha ottenuti 359 su 650, ben oltre la soglia dei 326 necessari per governare senza bisogno di alleanze con altri partiti.

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Una vittoria clamorosa che ha quindi regalato a BoJo un mandato forte per andare fino in fondo con la Brexit. Mentre i labour hanno subito una sconfitta umiliante che ha costretto il leader, Jeremy Corbyn, ad annunciare che alle prossime elezioni non sarà più alla guida del Partito. Festeggia invece il Partito nazionale scozzese (Nsp), guidato dalla premier Nicola Sturgeon, che punta a 55 seggi, e già rivendica un secondo referendum per l’indipendenza. Male anche i LibDem che vanno peggio del previsto (le proiezioni li danno a 13 seggi al massimo) e la loro leader a Westminster, Jo Swinson, non viene rieletta. Così com’è stato bocciato anche il leader dei Dup, gli unionisti nordirlandesi, nel collegio di Belfast. Sono due delle vittime eccellenti di una notte che ha ridisegnato la mappa politica della Gran Bretagna e ha aperto le porte ai conservatori nelle roccaforti laburiste.

Ora la promessa di Boris, ovvero quella di realizzare la Brexit – “Get Brexit done” – a tre anni e mezzo dal referendum è di fatto realizzabile. Non è escluso che data la netta affermazione dei conservatori il Parlamento sia chiamato a votare l’accordo sulla Brexit già il 21 dicembre, il sabato prima di Natale, aprendo la strada a un’approvazione alla Camera dei Lord tra Natale e Capodanno. In sostanza oltre un mese prima del 31 gennaio, ultimatum di Bruxelles a Londra.

A scrutinio terminato fanno riflettere alcuni elementi che hanno contribuito a una svolta epocale del paese. I Tories conquistano Blyth Valley, roccaforte laburista dagli anni Cinquanta. Per molti commentatori inglesi è questo il simbolo dell’onda blu che sembrerebbe aver abbattuto il muro rosso, le aree da sempre laburiste ma più distanti dall’Ue. Realtà politica che ritroviamo del resto anche dalle nostre parti.

Come detto si tratta del miglior risultato incassato dai conservatori dai tempi della famosa “iron lady” e questo rende ancora più pesante la debacle del Partito di Corbyn che si ferma, nelle migliori delle proiezioni, a 199 seggi, il peggior dato dal 1935. E adesso la resa dei conti interna al partito è già in corso. Gli animi si surriscaldano, la tensione sale e inevitabilmente partono velocissime le accuse che corrono attraverso la rete: “E’ colpa di un solo uomo, della sua campagna, del suo manifesto e della sua leadership”, twitta Siobhan McDonagh, una candidata laburista. E l’ex ministro dell’Interno laburista, Alan Johnson, deputato uscente, rincara la dose: “Non ho mai immaginato che potessimo scendere sotto i 200 seggi. Questo e’ Corbyn”.

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Intanto Nigel Farage, divenuto nel tempo una autentica icona della Brexit, non ottiene seggi ma si consola perché, sostiene, con la vittoria di Johnson finalmente Londra uscirà dall’Unione europea. Il suo Brexit Party, secondo gli exit poll, non elegge nemmeno un deputato a Westminster: nei collegi in cui il candidato conservatore rischiava di non essere eletto, il partito di Farage aveva deciso di non correre. “Abbiamo aiutato moltissimo Boris Johnson”, dice il leader. E il risultato lo si è visto.

Ora  Boris dovrà analizzare bene i conti con i numeri esatti del Parlamento eletto che sarà inaugurato la settimana prossima e dinanzi al quale il nuovo governo dovrà presentare un programma aggiornato letto, come da tradizione, dalla regina.