Il referendum sulla giustizia, promosso dal Partito Radicale e dalla Lega, non ha raggiunto il quorum. La casta dei Pm ce l’ha fatta e gongola per la vittoria che ormai da parecchi giorni si profilava all’orizzonte. Ha votato solo il 21% degli aventi diritto. Il ‘sì’ è risultato nettamente in vantaggio su tutti i 5 quesiti, ma questo, ahimè, non servirà a cambiare le norme sulla giustizia che sono state sottoposti a consultazione.
Si tratta, purtroppo, di una grande occasione storica persa su una questione cruciale, importantissima, vitale, che riguarda le libertà e i diritti individuali e che ha gravemente condizionato gli ultimi decenni di vita democratica e mediatica del nostro Paese.
Tuttavia dobbiamo essere sinceri e dire che nelle settimane scorse si fiutava nell’aria il fatto che il raggiungimento del traguardo del quorum sarebbe stata una impresa piuttosto difficile. Del resto il vergognoso silenzio degli organi di informazione sull’appuntamento referendario ha di fatto privato gli elettori di ricevere informazioni adeguate sui temi oggetto di consultazione.
A questo va aggiunta la guerra contro la legittima espressione popolare scatenata da un altro potere che ha fatto di tutto affinchè il referendum fallisse. Un potere che si muove in maniera incontrollata, che spazia a 360 gradi sconfinando anche in ambiti che non gli apparterrebbero e per questo talmente forte e autoritario da sottomettere tutti gli altri poteri. Si tratta del potere giudiziario. E poco importa se tale potere è stato travolto da scandali come sentenze o inchieste pilotate, dalle scottanti rivelazioni di Palamara. Quello che sconcerta è che tutta questa valanga di fango che avrebbe dovuto provocare un terremoto a palazzo dei Marescialli non ha in realtà neppure minimamente scalfito il sistema di potere delle toghe. Anzi, la sua forza di dettare le regole a un ceto politico imbelle e di conseguenza quella di influenzare la vita pubblica è rimasta inalterata.
In sostanza la magistratura militante ha ordinato alla politica di affossare i referendum perchè, qualora si fosse raggiunto il quorum, si sarebbe corso il rischio di avviare finalmente un processo di autentiche riforme che avrebbero riposizionato il potere giudiziario nei suoi legittimi spazi restituendo a questo sciagurato Paese lo stato di diritto oggi pressochè inesistente. Ma questo non poteva e non doveva accadere. Nella maniera più assoluta. Non solo. Una riforma vera, come quella proposta attraverso i quesiti, avrebbe garantito maggiori diritti anche a quella stessa parte di magistratura lontana dai giochi di potere, dalle correnti o da presunte cordate.
E allora? E allora a questo punto la politica deplorevole e incapace di riassumere quella posizione autorevole a cui sarebbe chiamata ha immediatamente ubbidito al diktat del padrone togato facendo il diavolo a quattro per sabotare definitivamente l’appuntamento con le urne. Operazione alla fine riuscita: le formazioni politiche da sempre vicine alle Procure si sono ben guardate di fare una campagna elettorale seria facendo di tutto per censurare l’informazione. I maggiori media amici di tali partiti, compresa la Rai, genuflessi alle Procure hanno fatto calere un muro di silenzio assoluto.
Insomma, i referendum dovevano essere completamente ignorati, il divieto di discuterne è stato tassativo, perentorio. E guai a chi osa alzare la testa. Del resto non è escluso che il disubbidiente, qualora ce ne fosse uno, potrebbe ritrovarsi invischiato in grane giudiziarie. Un avviso di garanzia è sempre dietro l’angolo. Questo è bene ricordarlo. (m.a.)