E’ vero, era sostanzialmente scontato che i sì all’autonomia avessero il sopravvento, tuttavia i promotori della consultazione referendaria puntavano ad avere un risultato più incisivo in Lombardia dove l’affluenza invece è stata fiacca non riuscendo a superare la soglia del 40%. Insomma, un mezzo flop davvero duro da incassare per il governatore Roberto Maroni anche se questi ostentatamente canta vittoria. Completamente diversa la partita in Veneto, da sempre più sensibile alle questioni territoriali e a tutta quella serie di interessi socio-economici che riguardano direttamente i contribuenti. Nella Regione guidata da Luca Zaia potremmo tranquillamente sentenziare che si è dinnanzi a un autentico plebiscito che dimostra il forte senso di appartenenza dei veneti alla propria terra: l’affluenza ha sfiorato il 60% superando abbondantemente il quorum (oltre il 50% più uno dei votanti) che non era previsto in Lombardia. Naturalmente ora lo spazio è per i festeggiamenti ma intanto, subito dopo l’esito scaturito dalle urne, Zaia, come Maroni, uscitone quest’ultimo ridimensionato, annunciano che a breve si apriranno le trattative con Roma con un obiettivo: tenere nella casse regionali i 9 decimi delle tasse. Sarà possibile?
Rimane comunque un successo: in Veneto l’affluenza sfiora il 60%. “Siamo al big bang delle riforme istituzionali e noi saremo protagonisti”, afferma un euforico Luca Zaia ripetendo un vecchio slogan: “I veneti vogliono essere padroni a casa loro”. Del resto sono i numeri a dare ragione alla realtà veneta che di questo referendum ne ha fatto un trionfo ribadendo il forte e radicato sentimento autonomista. E non è escluso che questo abbia un effetto domino in altre regioni convinte che le riforme debbano essere decise e rese operative dalle realtà locali e non calate dall’alto. Di fatto il Veneto chiederà competenza su 23 materie proponendosi di incassare i nove decimi delle tasse. E con una percentuale del 98,1% di sì contro un 1.9% di no dovrebbe avere sicuramente la forza contrattuale necessaria. Mentre in Lombardia, con l’autonomia, dovrebbero rimanere circa 25 miliardi di euro in piu’. E se così fosse con una cifra del genere di cose se ne potrebbero fare. Basta che a gestire ci siano amministratori capaci e onesti.
Ora va detto che questo referendum è consultivo e non vincolante. Ma ha in sostanza un forte valore politico. Infatti ciò che è stato espresso dalle urne servirà alle regioni ad avere più potere contrattuale al tavolo dei negoziati con il governo riguardo la richiesta di maggiore autonomia, sempre nel rispetto dei limiti del dettato costituzionale. Veneto e Lombardia non potranno diventare comunque Regioni a statuto speciale, come Sicilia, Sardegna, Val d’Aosta, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige poiché sarebbe necessaria una modifica costituzionale. Ma con l’autonomia in questo caso Veneto e Lombardia saranno in grado di trattare il trasferimento di maggiori competenze evitando dunque di continuare a versare alla Stato centrale gli incassi provenienti dalle imposte.
L’articolo 117 della Costituzione fissa le 20 materie concorrenti e le tre esclusive dello Stato per cui le Regioni possono in parte chiedere più autonomia. Si tratta di questioni come il coordinamento della finanza pubblica e tributario, lavoro, energia, infrastrutture, protezione civile, giustizia e norme processuali, ordinamento civile e penale e giustizia amministrativa, norme generali sull’istruzione, tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali. Sono invece materie di competenza esclusiva dello Stato tutte quelle che riguardano il fisco, la difesa, la sicurezza, l’immigrazione, e la previdenza sociale. E qui è la nota dolente. Perché come conseguenza di maggiore autonomia nei vari comparti descritti la richiesta più pesante di entrambe le regioni, che a questo punto difficilmente potrebbe andare in porto, è di trattenere sul territorio maggiori risorse finanziarie derivanti dalle tasse locali. Il Veneto, come detto, chiede almeno 8 miliardi in più da recuperare da quei 18-20 annuali di residuo fiscale, ovvero dalla differenza negativa tra ciò che versa e ciò che riceve da Roma. La Lombardia ne vorrebbe invece trattenere circa 25 su 54. I due presidenti leghisti che hanno spinto i cittadini ad andare a votare facendo leva proprio sulla faccenda dei residui fiscali, ossia la differenza tra imposte pagate in una Regione e spesa della pubblica amministrazione, potrebbero rischiare di rimanere a mani vuote qualora materie fiscali non possano essere oggetto di trattativa. E se così dovesse andare chi li sente poi i veneti e lombardi?