Il Palazzo mormora e guarda agli ingredienti. Arriva il famoso rimpasto? La convergenza anche del centrodestra sullo scostamento di bilancio sta preparando un rimescolamento delle carte.
Il fruscio di queste carte fa riferimento alla possibilità, secondo alcuni è quasi certezza, che molta parte di Forza Italia parteciperà ad un nuovo esecutivo mentre un certa porzione dei parlamentari del Movimento 5 Stelle ne uscirà. Sullo sfondo la necessità di dare vita a una maggioranza più solida, soprattutto per ciò che riguarderà l’accesso e la gestione dei programmi straordinari che l’Europa ha concepito per affrontare le conseguenze sia sanitarie, sia economiche della pandemia da Coronavirus.
Si parte dalla constatazione che, in questo momento, il nostro Paese non sia in grado di affrontare con una maggioranza certa e resistente il processo decisionale che richiedono in particolare il Mes, per la sanità, e il Recovery Fund, per la ripresa. Secondo alcuni, nelle condizioni attuali, questi provvedimenti potrebbero persino non superare il voto parlamentare nel momento in cui si arrivasse al giorno della conferma delle intese che il Governo concluderà in sede europea e, soprattutto, si dovesse scegliere un progetto al posto di un altro.
Se questi mormorii si rivelassero ben più sostanziosi ci si troverebbe di fronte alla seconda crisi di governo che, ancora una volta, segnerebbe un cambio di alleanze e di collocazione di alcuni partiti e alla nascita di un terzo diverso Governo dopo un solo voto chiesto agli italiani quale fu quello del 4 marzo del 2018.
La conferma della grave crisi in cui versa la nostra democrazia rappresentativa. La conferma dei due diversi circuiti lungo cui si muove la nostra democrazia. Quella espressa dal voto popolare e quella concretamente messa in essere dai partiti a livello parlamentare.
Saremmo ben al di sotto degli standard cui ci aveva abituato la cosiddetta Prima repubblica nel corso della quale le crisi di governo non alteravano comunque il quadro complessivo delineato dagli elettori. Si è trattato, allora, di dare vita a governi centristi progressivamente più aperti alle istanze sociali oppure, successivamente, di riequilibrare i governi di centro sinistra, oppure ancora, negli anni a seguire, di modificare gli equilibri tenendo comunque contro di quello che era stata l’espressione in voti dell’orientamento di milioni di italiani.
La governabilità assicurata dal sistema maggioritario, nelle varie forme in cui si è provato a garantirla a spese della rappresentanza, è sempre più prossima allo zero.
Qualunque, insomma, sarà lo sbocco cui ci porteranno le voci profonde che si muovono in queste ore tra Camera e Senato, un dato sembra definitivamente assodato: questo sistema politico è giunto al capolinea. Anche il Coronavirus ha fatto la sua parte. Da un lato, si viaggia a colpi di Dpcm; dall’altro, appare decotto tutto l’insieme legislativo – amministrativo regionale e sempre più si disvela il disagio del quadro delle autonomie.
Il nostro si rivela più che mai, dunque, come un Paese che potremmo definire, se non addirittura poco normale, di sicuro caratterizzato da ampie anomalie che interessano il sistema pubblico. Domenico Galbiati ha indicato ieri la presenza, e per questo dobbiamo ringraziare il cielo, di un unico punto di riferimento e di equilibrio, quale quello rappresentato dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella( CLICCA QUI ).
Se si fosse in un paese normale e si vivesse in una condizione normale sarebbe ovvio correre subito alle urne per chiamare gli italiani tutti, anche gli astenuti che crescono, ad una scelta per il futuro che potesse riguardare almeno l’intera prossima legislatura.
Evidentemente, però, tutti noi dobbiamo fare i conti della realtà per quella che davvero essa è. Andare al voto, con la legge elettorale che abbiamo, potrebbe paradossalmente, invece, persino aggravare le condizioni in cui muoviamo oggi, tanto è evidente che la vittoria di Salvini e della Meloni ci farebbe trovare sguarniti anche il fianco sul fronte europeo.
Come accaduto con il passaggio dal primo Governo Conte, quello con l’impronta data dal duo Salvini – Di Maio, al Conte 2, sarebbe da considerare già un bene che, comunque, un esecutivo si formi e continui ad occuparsi dell’emergenza sanitaria. Resterebbe tutto il resto: il già ampiamente citato degrado politico e istituzionale, che “batte in testa”, basti vedere la comico – drammatica vicenda della nomina del Commissario alla Sanità in Calabria, e soprattutto la scelta, e il modo in cui si deciderà di scegliere, in materia di Recovery Fund e di Mes.
(politicainsieme)