La missione esplorativa è stata completata. Ora non resta che attendere. Nel corso delle  prove di dialogo di questa delicata fase politica tra Movimento 5 Stelle e Pd Roberto Fico, presidente della Camera incaricato dal capo dello Stato Sergio Mattarella a verificare l’esistenza di una maggioranza per formare un nuovo Governo, risuscita di fatto  Matteo Renzi poichè l’approvazione di un ipotetico patto di Governo dipende da quella parte del partito controllata dal toscano.
Anche se l’esposizione mediatica è venuta meno Matteo  non è morto: in questi giorni se ne è rimasto  tranquillamente – almeno in apparenza – a Firenze  a giocare   a tennis con  alcuni amici.
Rimasto in disparte una cinquantina di giorni il grande perdente delle ultime elezioni del 4 marzo scorso ha recuperato improvvisamente vigore e vuole approfittarne per giocare le sue carte  con l’obiettivo di pesare  sul futuro del Paese che ha governato per tre anni e che vorrebbe tornare a governare. Questo è sicuro.
Dopo il fallimento dei negoziati tra Di Maio e Salvini ora la palla è passata nel campo dei dem che dovranno decidere se dare  o meno il sostegno ai pentastellati. L’idea di iniziare un cammino insieme ai grillini trova consensi da una parte del partito e soprattutto tale ipotesi beneficia del sostegno del Presidente della Repubblica. Tuttavia non possiamo dimenticare che se Renzi non darà la sua “benedizione” l’operazione non si realizzerà mai. Al momento altre opzioni sul tavolo non ce ne sono e se tutto dovesse saltare il Movimento non perderà altro tempo forzando la mano sulla richiesta di  elezioni anticipate.
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In questo schema non possiamo trascurare il fatto che Renzi controlla la maggioranza dei parlamentari scelti da lui con estrema attenzione al momento della formazione delle liste quando era a capo della segreteria. Una faccenda che fece discutere non poco e che sollevò parecchie critiche provocando duri  contrasti all’interno stesso del partito da parte di coloro che hanno puntualmente messo all’indice l’arroganza dell’ex presidente del Consiglio. Resta comunque il fatto che nonostante la disfatta elettorale del Pd – l’ultima in Molise la scorsa settimana – il tasso di fedeltà a Renzi è ancora alto. E pensare che è stato proprio lui a portare alla rovina la “ditta” , come la chiamava il povero Pier Luigi Bersani costretto ad abbandonare il Nazareno.
Nei circoli Pd gira la voce che il capo ci sta pensando all’ipotesi del tandem con i grillini ma le perplessità restano. Indubbiamente a  Renzi pesano come un macigno i pesanti attacchi subiti negli ultimi anni da parte dei 5 Stelle come il boicottaggio del referendum costituzionale del 4  dicembre 2016, altro disastro all’attivo della gestione renziana. Insomma, il toscano non è convinto. Martedì scorso era a passeggio per la sua Firenze e la gente che lo ha incrociato gli avrebbe detto di rimanere fermo  sulla sua  linea dura. Appare dunque davvero difficile immaginare come andrà a finire.
Intanto il tempo passa e l’inquilino del Quirinale si irrigidisce. Questo del resto era prevedibile con una legge elettorale di questo taglio, ironia della sorte   approvata da tutti i partiti, tranne dai 5 Stelle, firmata dallo stesso Mattarella e follemente congeniata per inchiodare l’intero sistema istituzionale. Un capolavoro dell’inettitudine politica.
Certo è che Renzi non avrebbe agito come il segretario ad interim, ministro  dell’agricoltura uscente, Maurizio Martina che si è mostrato da subito possibilista riguardo l’apertura di un dialogo con i pentastellati. Un balzo in avanti che ha lasciato molto perplessi i supporter di Matteo che promettono di votare contro a tale opzione se dovesse essere posta all’ordine del giorno nella prossima assemblea in programma giovedì 3 maggio. Occasione nella quale Martina ha anticipato già nei giorni scorsi l’intenzione di proporre   un referendum tra gli iscritti nel caso in cui il partito apra un dialogo con i Pentastellati. Servirà questo per sbloccare la situazione? I dubbi rimangono.
Di sicuro quello che sta succedendo in queste ore di grande fermento tra veti incrociati e possibili tradimenti fa parte di un gioco al rialzo, mosse calcolate attentamente per ottenere il massimo  da un eventuale patto con i 5 Stelle. Altra certezza è che Renzi vorrebbe riprendere i controlli dei negoziati anche dall’esterno per vendere – se così sarà – la pelle a caro prezzo. In sostanza a l’ex segretario non  va proprio giù che Martina abbia accettato di trattare così rapidamente senza neppure aumentare la posta. E allora? E allora servirà tempo per definire un eventuale accordo. Accordo che sulla carta si presenta piuttosto comunque curioso quanto stravagante se si pensa che dal punto di vista programmatico il Movimento 5 Stelle ha tra i suoi punti fermi quello di abolire la riforma del lavoro, il famoso jobs act, uno dei simboli più caratterizzanti del governo Renzi. E su tale questione i 5 Stelle non sono assolutamente disposti  a rinunciare.
Non solo. Altri paletti rendono difficilmente praticabile il percorso. Ricordiamo quello che riguarda il comportamento piuttosto ambiguo dei pentastellati sull’uscita dall’euro – negli ultimi mesi si è registrato infatti un riposizionamento del Movimento sulla moneta unica –  quando il Pd è sempre stato fedele all’eurozona. Pensiamo poi alla  faccenda del reddito di cittadinanza, anche se rispetto a quest’ultimo problema sembra che la coriacea  intransigenza grillina potrebbe cedere offrendo la propria disponibilità a un compromesso accontentandosi del sussidio di disoccupazione messo a punto dai dem.
Ma il nodo centrale  rimane soprattutto la strategia dei  grillini che hanno focalizzato negli ultimi anni le loro bordate su  Renzi, su ciò che ha fatto. Durissime furono le critiche sulla gestione delle crisi bancarie o sulla riforma costituzionale. Attacchi difficili da dimenticare per l’ex premier e ora che questi ha qualcosa da ridire sarà molto più complicato per i combattivi grillini rinnegare ciò che hanno ripetuto per lungo tempo.