La linea economica, ‘pulita’, della mafia si è sviluppata e ora distinguere tra ‘l’imprenditoria mafiosa’ e quella non mafiosa è molto, ma molto difficile. Ma per affrontarla, occorrerà cambiare molto, non solo e non tanto nelle nostre forze di polizia, quanto nella logica legislativa e, quindi, operativa
Benché il mio articoletto di ieri sia arrivato un po’ in ritardo rispetto ad altri articoli attenti della stampa, penso al bell’articolo asciutto del prof. Pasquino ad esempio, una ulteriore brevissima riflessione sull’intero problema merita di essere fatta.
Suggerita anche, devo dire, da un titolo che mi colpisce. Un titolo che come sempre sintetizza molto e quindi può dire cose che non vuol dire, ma che può distorcere la percezione del problema da parte della popolazione italiana, e, e anche di ciò mai si parla, non solo di quella.
La mafia di Matteo Messina Denaro, è il senso di vari titoli e quindi di vari articoli, è ‘finita’.
Sorvolando sulle elucubrazioni complicatissime di molti commentatori ‘autorevoli’, io credo che proprio la vicenda di Messina Denaro imponga di constatare che la mafia c’è, è dappertutto, è pervasiva della e nella nostra società e, ripeto, non solo in quella italiana … anzi, forse addirittura meno in quella italiana che altrove.
Dove, intendo dire, è già ‘maturata’, se si può usare questo termine a proposito di una organizzazione criminale. Facevo riferimento ieri a Micheal Corleone. Non so se la citazione fosse giusta o no, volevo e voglio dire soltanto che, a un certo punto della sua storia, la mafia si ‘accorge’ che per sopravvivere deve smettere la lotta con lo Stato, e quindi diventare invisibile per lo Stato o parte dello Stato.
In questo senso è vero, in linea di massima, che la mafia, quella mafia, con Messina Denaro finisce: in realtà, mi pare, la ha chiusa proprio lui! E non perché sia diventato un angelo o si sia convertito, ma perché ha capito (e questo dovrebbe fare riflettere molto, ma proprio molto) che la ‘fase stragista’ come la chiamano molti, aveva raggiunto il suo fine. Ora mi darete addosso: aveva raggiunto il suo fine, cioè quello di ‘distrarre’ lo Stato (forse quella parte di Stato che combatte veramente la mafia, ma questo è un altro discorso sul quale non mi addentro) dalle attività criminose, ma subdole e difficilmente perseguibili, di trasformazione della mafia da organizzazione criminale a ‘società per azioni’, magari quotata in borsa.
Ci sono voluti trent’anni, anche di più, da Capaci ad oggi per permettere alla mafia degli affari, alla ‘nuova’ mafia di trasformarsi. E, temo, quei trent’anni possono avere avuto l’effetto sperato: distratti dalle stragi, la linea economica, ‘pulita’, della mafia si è sviluppata e ora distinguere tra ‘l’imprenditoria mafiosa’ e quella non mafiosa è molto, ma molto difficile. Ma per affrontarla, occorrerà cambiare molto, non solo e non tanto nelle nostre forze di polizia, quanto nella logica legislativa e quindi (la cosa più difficile) operativa. Perché distinguere tra finanziamento mafioso e finanziamento ‘innocente’ è sempre più difficile … specie col passare del tempo, che cancella le tracce.
E da ciò, forse deriva una conseguenza immediata: la mafia non è più solo o prevalentemente o massicciamente italiana. All’estero, ormai, è impresa ricca, forte … una impresa che essa stessa, se si può dire così, ‘dimentica’ da dove ha preso i soldi per partire. Ma prima di perdere quella impronta, temo, occorreranno altri molti anni.
E allora, potrebbe sembrare una contraddizione ma forse non lo è se ci ragioniamo, e allora, dico, la lotta in Italia alla mafia, alla mafia italiana vecchia e nuova, diventa centrale, decisiva perfino per il resto di Europa.
Noi, in qualche modo, abbiamo un vantaggio: da noi c’è ancora la vecchia mafia. La mafia delle estorsioni, dei ricatti, delle connivenze e, naturalmente, della droga e degli appalti. Quella mafia ci può portare più facilmente all’altra, quella ‘pulita’.
Ma specialmente, è lì che occorrerebbe avere uno Stato, ma dov’è? Ma, specialmente, sarebbe il momento di prendere il toro per le corna, ma quelle vere, di prendere di petto la necessità urgentissima di cambiare la mentalità di molti, troppi (diciamo pure quasi tutti, me compreso) italiani. La mentalità del compromesso, della ‘freccia moscia’ (se qualcuno lo ricorda), del ‘sto solo un attimo’ e il traffico si blocca, del (sì, non vi arrabbiate sarà uno su diecimila, ma c’è) del poliziotto che volta la faccia dall’altra parte magari solo per non fare una multa per divieto di sosta, del rimandare a domani ciò che si può fare oggi, del ‘vabbè non occorre la ricevuta’, del ‘se paghi il caffè col pos sei un rompiscatole’, del meglio nero tanto i veri evasori sono altri (sono sempre ‘altri’), del ‘oggi ho mal di pancia’ e mica mi mandano il medico fiscale, in una parola dell’assuefazione all’illecito, della assuefazione al piccolo cinismo quotidiano, che, però, diventa grande cinismo collettivo. E oggi, ahimè, viene esplicitamente difeso da questo Governo anche prima, forse, ma almeno dicevano il contrario.
È qui, qui in Italia, che si dovrebbe incidere, per scoprire il verminaio che c’è sotto il coperchio dello Stato in senso lato, della vita quotidiana. E quindi, e qui temo casca l’asino, del verminaio della nostra politica.
Di nuovo, alla mafia giova ‘un pezzo di borghesia’, per usare le parole lucidissime del Pm di Palermo, che rischiano però di diventare rapidamente la ‘grande giustificazione’, la purificazione generale: la fine della caccia alla collusione tra mafia e politica.
In termini giustificazionisti: “è – sembra di sentire dire in coro strofinandosi le mani il nostro ceto politico – la fine dell’idea della collusione, non siamo noi i politici i collusi, lo è tutta la società”.
Sarebbe la pietra tombale sulla fatica di Magistrati e poliziotti che fanno il loro dovere, lo fanno bene, e, al caso, sanno isolare quelli che non sono della stessa pasta.
Potrei dire: dobbiamo fare tutti un esame di coscienza. Ma non sono così ingenuo da credere che esista e che possa servire … mentre lo scrivo arriva l’idraulico a cambiare non so cosa ‘ah va bene, grazie, buongiorno, quanto le devo? Venti, ecco, grazie arrivederci’.
È una rivoluzione culturale, ma non solo, quella che si dovrebbe fare. Ma una cosa del genere parte dallo Stato, dai vertici dello stato e giù giù fino alle basi, fino a noi singoli ‘innocenti’ cittadini: non siamo innocenti, non illudiamoci, siamo tutti colpevoli o, se preferite, complici.
E ora andatevi a sentire le reboanti dichiarazioni (con tombole varie, ma che fa!) della virile ‘Signor Presidente del Consiglio on.le Giorgia Meloni’, dell’autonomista di ferro Salvini, dell’indifferente ai telefoni ma ‘garantista’ Nordio, del consuocero di Mubarak e così via. Sono loro al Governo, lo sappiamo, ma non voglio dire che se lo fosse la sinistra sarebbe tanto meglio … anzi, togliete quel ‘tanto’.
Solo una cosa, tanto lo so che è inutile: ora Messina Denaro va trattato come un principe, con rispetto e senso delle istituzioni. Cito, spero non si offenda, Michele Serra: «La Costituzione contro i codici tribali degli uomini d’onore». Cioè: lo Stato mostri che sa essere severo, perfino ‘giusto’, ma mai crudele. Ora mi sparerete, ma ora è il momento di abolire, cum grano salis, quell’obbrobrio giuridico, infantile e violento, vendicativo che si chiama ergastolo ostativo. Ora? sì, ora, proprio ora: lo Stato è civiltà, non è mafia.
Giancarlo Guarino – L’Indro