Dall’idea di Musumeci un mix esplosivo: crollo del valore degli immobili e aumento dei premi assicurativi. Troppi balzelli iniqui gravano già sulla proprietà degli italiani

Siamo di nuovo alle solite: messi alle strette, certi politici immaginano soluzioni ai problemi che, se possibile, sono persino peggiori dei problemi stessi. Ci riferiamo ovviamente all’ultima improvvida dichiarazione del ministro per la protezione civile e le politiche del mare Nello Musumeci il quale, sull’onda delle notizie drammatiche in arrivo dall’Emilia Romagna colpita da un’alluvione per il secondo anno consecutivo, ha dichiarato testualmente alla stampa: “Ci avvieremo, gradualmente, all’obbligo di sottoscrivere una polizza contro rischi naturali. È finito il tempo in cui lo Stato poteva erogare risorse per tutti e per sempre. Si fa presto a parlare di nuova patrimoniale sulla casa, immagino già le polemiche, ma è necessario un cambio culturale”.

A onor del vero, il ministro Musumeci è solo l’ultimo in ordine cronologico di una lunga schiera di politici a voler tentare di imporre un’assicurazione obbligatoria sulla casa. Tanto per citarne un altro, nel 2016 anche l’allora ministro delle infrastrutture Graziano Delrio provò a imporre l’assicurazione obbligatoria della casa contro i rischi sismici, per fortuna senza successo, come ci auguriamo sarà anche stavolta.

Esplosione dei costi

Perché la polizza obbligatoria non è la soluzione al problema? Banalmente perché – ammesso e non concesso che la compagnia assicurativa riconosca il danno integralmente ed eroghi il risarcimento in tempi rapidi – questo meccanismo tampona solo gli effetti ma non interviene in alcun modo sulle cause.

Inoltre, perché l’obbligatorietà farebbe crescere a dismisura gli importi dei premi assicurativi insieme alle clausole contrattuali per fissare paletti insormontabili su franchigie, importi risarcibili e pre-condizioni dell’abitazione per la sua assicurabilità. Immaginate infatti solo per un istante cosa accadrebbe se, ad esempio, condicio sine qua non per la stipula di una polizza, fosse la conformità dell’abitazione alla famigerata “direttiva case green”, quella spada di Damocle pendente sul capo di tutti i proprietari di casa Ue che vorrebbe rendere le stesse ad emissioni zero di CO2 in tempi brevi a costo di inutili e costosissime ristrutturazioni.

Ebbene, il risultato sarebbe devastante: si creerebbe un mix esplosivo tra il crollo del valore dell’immobile e l’esborso forzoso di ingenti somme da parte del proprietario, con tanti saluti ad uno dei cespiti principali di risparmio (e di ricchezza) degli italiani.

Ma l’obbligatorietà di una fantomatica polizza sui rischi naturali per le abitazioni non è solo un’utopia bella e buona – proviamo infatti a immaginare il successo che riscuoterebbe una simile iniziativa – ma del tutto inutile quando si parla di rischi naturali, e proviamo a vedere perché.

Rischio sismico

Una polizza sul rischio sismico non può prescindere dallo stato di fatto dell’immobile e dalla sua collocazione geografica. Perché è inutile che ci giriamo intorno: se vivete in una zona ad elevato rischio sismico e la vostra abitazione è priva di qualunque tipo di protezione sismica, state pur certi che, al primo terremoto di una certa entità, la vostra abitazione ha ottime probabilità di crollare, sperabilmente non con voi all’interno.

Certo, a 55 anni dal terremoto del Belice, 48 dal sisma del Friuli e 44 da quello dell’Irpinia, ormai tutte le abitazioni sono dotate di protezioni antisismiche, vuoi per via dei criteri di progettazione per le nuove costruzioni, vuoi per gli interventi di recupero e di risanamento su quelle più vetuste. Tuttavia, immaginate le ipotetiche compagnie assicurative che dovessero assicurare gli immobili nei tre territori teatro dei devastanti terremoti summenzionati, oppure, ad esempio, in quelli della zona vesuviana, dei Campi Flegrei ed etnea: secondo voi, quanto più costose sarebbero queste fantomatiche polizze rispetto a quelle di tutto il resto d’Italia? Ecco che quindi una polizza obbligatoria contro il rischio sismico diverrebbe un balzello regressivo che colpirebbe in maniera ineguale alcune aree piuttosto che altre.

Rischio idrogeologico

Se i terremoti sono purtroppo eventi ancora imprevedibili e dipendono da cause del tutto indipendenti dalla volontà umana, le alluvioni e le inondazioni sono invece il frutto diretto dell’incuria dell’amministrazione del territorio e, per quanto gli amministratori locali tentino invano di addossarne le cause al cosiddetto “cambiamento climatico”, le immagini delle esondazioni con i letti dei fiumi intasati da detriti di ogni genere, tronchi, talvolta interi alberi, sono più eloquenti di qualunque fandonia proferita a propria discolpa.

Inoltre, sembra incredibile ma c’è chi ancora non ha ben capito una regola di fisica elementare: se lo scorrimento a valle dell’acqua, cioè la velocità media di deflusso dell’acqua, è impedito da ostacoli fisici, la portata d’acqua a monte non ce la fa tutta a scendere verso valle a causa di quegli impedimenti e non ha altra possibilità che far crescere il livello del fiume fino a oltrepassare gli argini e inondare i territori adiacenti.

La legge della portata

La portata d’acqua, il livello del fiume e la velocità media di scorrimento dell’acqua sono legati insieme da una formula semplicissima, diretta derivazione del principio di conservazione della massa:

Q = S ∙ vm

Dove:

“Q” è la portata d’acqua misurata in m3/secondo;

“S” è la sezione trasversale dell’alveo del fiume, misurata in m2;

“vm” è la velocità media di scorrimento dell’acqua lungo la sezione presa a riferimento, misurata in m/secondo. Si considera la velocità media perché, come è noto, la corrente del fiume è inferiore sulle sponde a causa dell’attrito dell’acqua che scorre lungo le rive e maggiore al centro del fiume, come sanno bene gli atleti delle ultime Olimpiadi di Parigi costretti a nuotare nella melma della Senna, cercando di nuotare il più possibile vicini alle rive per evitare le correnti della parte centrale.

Questa semplice formuletta ci dice due cose:

  1. A parità di portata d’acqua Q, la sezione del fiume, cioè il suo livello, è inversamente proporzionale alla velocità di deflusso. Maggiore la velocità di deflusso, minore il livello del fiume e viceversa.
  2. Al crescere della portata d’acqua Q, il prodotto S ∙ vm deve crescere anch’esso in egual misura; se però la velocità di deflusso non può crescere oltre un certo valore limite a causa degli ostacoli fisici che si frappongono allo scorrimento del fiume, l’unica strada che ha l’acqua in eccesso è far crescere la sezione S, cioè il livello del fiume, fino alla sua esondazione. «È il principio di conservazione della massa, bellezza!» verrebbe da esclamare.

Assetto idrogeologico

Cosa possiamo quindi dedurre da queste semplici osservazioni? Che condizione imprescindibile per minimizzare il rischio idrogeologico è mantenere i letti dei fiumi i più puliti possibili lungo tutto il loro percorso in modo da massimizzare la velocità di deflusso dell’acqua. Ma questo da solo non basta: è indispensabile che anche gli argini siano tenuti puliti e privi di quei detriti che, in caso di crescita del livello del fiume, potrebbero rischiare di essere trascinati via dalla forza delle acque e costituire essi stessi ostacolo al deflusso dell’acqua.

È il caso di quei tronchi che erano stati tagliati lungo gli argini dei fiumi Marzeno e Lamone esondati nei giorni scorsi nel ravennate ma che erano stati lasciati sul posto per rispettare la “biodiversità”. Ecco, come dimostra puntualmente la cruda realtà dei fatti, di deliri ideologici purtroppo si muore.

Tuttavia, in caso di precipitazioni particolarmente abbondanti, evento che, in una pianura alluvionale (lo dice la parola stessa) come la pianura padana, è tutt’altro che infrequente e non ha ovviamente nulla a che vedere con il supposto “cambiamento climatico”, nemmeno tenere puliti i letti dei fiumi e gli argini potrebbe essere sufficiente. Per far fronte a questi casi estremi, allora, occorre che l’uomo realizzi un concetto semplicissimo: anziché far tracimare in maniera incontrollata l’eccesso di portata d’acqua dai greti dei fiumi con conseguenze devastanti, realizzare dei grossi recipienti (le famose “vasche di laminazione”) lungo il percorso dei fiumi entro cui incanalare l’eccesso d’acqua per mezzo di opportune chiuse in attesa che le piogge si riducano. Una volta poi che il fiume sia tornato in condizioni normali, lasciar quindi defluire quell’eccesso d’acqua a poco a poco in modo così da salvaguardare l’integrità dei territori circostanti.

Certo, i deliranti consigli di certi cosiddetti “divulgatori scientifici” imbevuti di folle ideologia finto-green suggeriscono di lasciar esondare i fiumi a loro piacimento per rispettare la loro evoluzione naturale, ricreando così tutti quei terreni paludosi così esiziali per l’uomo e nel secolo scorso strappati alla malaria con così tanta fatica. Ma si sa, quando si vive nella ZTL della capitale non si riesce a comprendere bene cosa significhi la messa in pratica di questi deliranti consigli: “Il sazio non crede al digiuno”, come recitava un vecchio adagio.

Le responsabilità della Regione Emilia Romagna

Mettendo da parte i bizzarri consigli ideologici di allampanati geologi con la piccozza, sta di fatto che, dalla scorsa inondazione del maggio 2023, gli amministratori della regione Emilia Romagna non hanno fatto nulla di quanto sarebbe stato necessario fare con la massima urgenza per curare l’assetto idrogeologico nel modo che abbiamo delineato. Dai tristi fatti di un anno fa, infatti, nulla è stato fatto relativamente alla pulizia dei letti dei fiumi, degli argini e alla costruzione delle vasche di laminazione, e i risultati purtroppo si sono puntualmente visti appena un anno dopo secondo una sequenza che, se non fosse tragicamente macabra, si potrebbe senz’altro definire “cronaca di una morte annunciata”.

Oggi, a soli quindici mesi da quegli eventi, siamo di nuovo in ansia per i due dispersi dell’esondazione di due giorni fa e ci auguriamo che essi vengano ritrovati quanto prima sani e salvi.

Cosa fare quindi?

Ecco, ministro Musumeci, così come fu fatto a valle del devastante terremoto dell’Irpinia che diede il “la” a una vasta campagna di verifiche strutturali, di risanamento degli immobili e di miglioramento delle normative antisismiche, applichiamo la medesima metodologia anche per le zone a forte rischio idrogeologico: mettiamo in sicurezza i fiumi, costruiamo le vasche di laminazione ed effettuiamo verifiche a tappeto sulle abitazioni costruite su terreni a rischio. Se necessario, bypassiamo senza indugi le follie ideologiche deliberate dai governi regionali e procediamo spediti verso la messa in sicurezza del territorio.

In poche parole, signor ministro, utilizziamo i soldi delle tasse che gli italiani già versano per risanare i problemi e smettiamola una buona volta di sproloquiare di polizze per la casa obbligatorie: già troppi balzelli iniqui gravano sulla proprietà degli italiani, non aggiungiamo ad essi un altro odioso e inutile balzello.

Vincent Vega – Atlantico