Situazioni come quelle create dal Coronavirus fanno divenire evidente lo spunto poetico di John Donne, poi ripreso da Ernst Hemingway: “non mandare mai a chiedere per chi suona la campana: essa suona per te”.
Anche Donald Trump scopre cos’è il Coronavirus e dichiara lo stato di emergenza nazionale dopo aver a lungo minimizzato. Si deve solo sperare che i suoi ritardi non finiscano per far pagare agli americani, ma non solo a loro, un prezzo altissimo. Questo vale per altri responsabili della cosa pubblica internazionale, alcuni europei, che sembra si stiano finalmente rendendo conto della situazione.
Bene ha fatto allora il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a ricordare all’Unione europea che l’Italia attende solidarietà e non ostacoli in un momento particolarmente delicato da cui si deve uscire non solo per gli interessi degli italiani, ma per tutti gli europei.
L’Italia vive una vicenda estrema, in grado di mettere in discussione molti di quei paradigmi cui è stata sempre finora ancorato il significato della vita in un’ampia parte del mondo.
Stridente è il contrasto tra gli interessi finanziari, divenuti determinanti nell’indirizzare l’intera economia mondiale, le decisioni dei governi e degli organismi internazionali, e una visione dell’esistenza permeata dal senso di umanità e della comunità.
Ci siamo convinti che tutto dipenda esclusivamente dalla preminenza del mercato e dalle sue regole, se poi davvero ci sono e vengono rispettate, nell’indifferenza più generale nei confronti dei più deboli tra le cui schiere è andando progressivamente aumentando il numero degli appartenenti al ceto medio.
In qualche modo, dunque, il Coronavirus mette in discussione un generale disequilibrio, un’intera visione culturale, politica e sociale e costringe, così, ad avviare un’operazione dolorosa, difficile e, forse, lunga di verità.
Impresa ardua, ma doverosa cui ci ha richiamato Maurizio Cotta ( CLICCA QUI ). Da condurre all’insegna della riscoperta di quella solidarietà di cui i potenti, i centri culturali e la comunicazione , ma troppo spesso lo facciamo noi stessi nella nostra vita quotidiana, si dimenticano.
Così, l’intervento di Sergio Mattarella va ben oltre la questione drammaticamente pratica che riguarda quella che è stata definita la “gaffe” di Christine Lagarde sullo spread o un’occasione persa come ha sostenuto il nostro Guido Puccio ( CLICCA QUI ).
La responsabile dei vertici della torre della Bce di Francoforte è stata e resta un’espressione del neo liberismo esasperato. Quello che persino una discreta parte del capitalismo contesta sempre più da un pezzo, ben da prima che si dispiegasse il Coronavirus.
Credo che la cosa più importante contenuta nell’intervento del Presidente Mattarella sia proprio questa: ricordare che, soprattutto quando le fragilità umane emergono in una maniera tanto lampante e diffusa, quando a rischio ci sono le vite di tantissime persone, è inevitabile che la politica torni a prendere il sopravvento rispetto ai finanzieri. E’ il suo compito, è il suo dovere.
Bene allora ha fatto a mettersi su questa lunghezza d’onda Urusula Von der Leyen, la Presidente della Commissione europea di Bruxelles con l’annuncio della “massima flessibilità” concessa all’Italia e l’impegno a considerare gli interventi italiani “ misure una tantum fuori dal Patto”. La Bce è stata così costretta a rettificare il tiro e a dirsi pronta ad “agire contro spread elevati” al fine di evitare ogni forma di speculazione a danno dei paesi in difficoltà. Non è un caso che la Borsa di Milano si sia subito ripresa dopo lo scivolone di tre giorni orsono.
E’ evidente che non si tratta di questioni giocate tra paesi, anche se c’è chi prova a interpretare e a raccontare tante vicende solo con accenti nazionalistici. Noi siamo permeati da interessi che coinvolgono trasversalmente pezzi di nazione contro altri loro pezzi, parti di apparati economici e finanziari contro altri.
Bisogna rifuggire dall’idea che ci siano italiani contro francesi, o contro tedeschi. In realtà, il contrasto riguarda differenti visioni della politica, dell’economia, degli equilibri interni all’Europa e ai popoli che in essa vivono. E’ la diversa prospettiva, persino antropologica, che segna una linea divisoria interna a tutti i nostri paesi, come del resto accade in altri spicchi del resto del mondo.
La politica è fatta dagli uomini e dalle donne e da quegli addentellati culturali, sociali, finanziari ed economici che essi ed esse rappresentano, o da cui si fanno circuire.
La politica non ha una funzione direttamente etica, anche se le ampie e complesse questioni morali che tutti ci riguardano dovrebbero pur sempre animarla e sostenerla. Essa agisce per e sugli essere umani fatti di spiritualità e di sentimenti e necessitano, dunque, di rinnovare un insieme di relazioni, mentre sono costretti a scegliere tra il bene e il male, il giusto e l’ingiusto, l’opportuno e lo sbagliato.
Presa com’è dallo scontro, impegnata nella redistribuzione delle risorse, non sempre capace a mediare tra le diverse convenienze, condizionata dagli apparati che si devono perpetuare, essa finisce troppo spesso per ritrovarsi distante dal significato della vita così com’è vissuto dai normali esseri umani che pure essa dovrebbe governare.
Quando però suona la campana, e tanto essa rintocca ai giorni nostri, la politica è costretta a decidere, a definire le priorità e collocare tutto nell’adeguata prospettiva, riscoprendo l’ovvietà che deve prendersi cura degli esseri umani.
L’emergenza che viviamo, così, conferma come il continuo aumento dei profitti, i giochi di borsa, gli indici di produttività, l’andamento dei consumi, pur restando importanti, non possono essere messi prima del valore di tante, tantissime vite umane. Dunque, fortunati quei popoli il cui ceto politico riesce a ristabilire un equilibrio, sia pure solo a causa dell’incalzare delle cose.
Il Coronavirus sempre al dunque ci porta. Come, con molta semplicità ha dichiarato il campione di Formula 1 Lewis Hamilton, commentando negativamente la prima decisione del circo della F1 di aprire nonostante tutto i battenti in Australia:”siamo qui per il Re denaro”.
Questa epidemia ci costringe a prendere atto dell’esistenza della “complessità” in cui siamo immersi e da cui non si può prescindere, come ci ha ricordato ancora ieri Domenico Galbiati ( CLICCA QUI ).
Il mondo è sempre meno semplice e richiede analisi e, soprattutto, risposte articolate, mutevoli e versatili, adattabili al dato concreto prodotto da quelle tante realtà di cui dobbiamo tenere conto. Quello della “complessità” è la vera questione della fase che l’umanità sta vivendo.
Eppure, in molti spregiudicatamente provano a semplificare e a ridurre tutto a un tweet o a dichiarazioni stentoree, magari contraddittorie rispetto a quelle fatte pochi giorni prima, contando sull’amnesia collettiva. La semplificazione è esattamente il contrario di una necessaria operazione di conoscenza e, dunque, di verità.
Oggi, quella “complessità” che mette in crisi tanti elementi dati per acquisiti, compreso quelli scientifici, ci costringe ad un lavoro maggiore, pubblico o interiore che sia. Ci forza a cercare possibili punti di mediazione tra le attese e i risultati raggiungibili, tra lo scenario ipotizzato e gli obiettivi realmente a portata di mano. Ci costringe a riconoscere i limiti della condizione in cui ci ritroviamo. Ci suggerisce insomma di cambiare il nostro modo di fare politica.
Come ci dice Francesco Punzo ( CLICCA QUI ) la solidarietà potrebbe rivelarsi la vera forza rigeneratrice di un mondo che sembrava aver smarrito il senso del proprio significato ed è costretto dal Coronavirus a trovare quella matrice iniziale di cui sembrava avessimo perduto le tracce.
di Giancarlo Infante – politicainsieme