Quando l’immaginazione fa rima con incoerenza, vedi il caso Di Maio. Ma non ci si ferma lì. Intanto il convitato di pietra, l’astensionismo, ingrassa. Con un quadro politico, nazionale e internazionale, magmatico, fosco, inquietante, davvero può accadere tutto e il suo contrario
Oscar Wilde, che per amore di un paradosso avrebbe venduto la madre, definisce la coerenza «l’ultimo rifugio delle persone prive d’immaginazione». Luigi Di Maio non corre il rischio del grigiore che è la cifra di chi non ha immaginazione.
Uno che volesse incarognirsi, reperirebbe con grande facilità immagini e sonori di Di Maio quando con disprezzo, riferendosi ai parlamentari che abbandonavano i partiti che li avevano eletti, tuona di ‘mercato delle vacche’. In barba all’articolo 67 della Costituzione («Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato») il Di Maio pensiero costituiva una granitica certezza: «Per il M5s, se uno vuole andare in un partito diverso da quello votato dai suoi elettori si dimette e lascia il posto a un altro».
Tutto cambia. Anche Di Maio. Che lascia il M5S, fonda un diverso movimento con altri suoi colleghi; ma nessuno ci pensa un nano secondo a mollare seggio e incarico di Governo, quando ne hanno. La sessantina di parlamentari che seguono Di Maio, come teorizza Wilde, hanno tanta immaginazione.
Anno 2017. Gli esempi venivano dal Portogallo, dal Regno Unito. I parlamentari di quei Paesi (sarà poi vero?), assicurava Di Maio, sono diversi dai nostri che «se ne fregano…Perché una volta che sono in parlamento gli elettori non contano più nulla. Quello che conta è: la poltrona, il mega-stipendio, il desiderio di potere». Dite che è indelicato ricordare quello che diceva sono cinque anni fa e compararlo con quello che fa oggi? Dite che nel frattempo Di Maio è maturato, ha acquistato una coscienza ‘istituzionale’, non è più il Masaniello di Pomigliano d’Arco che ammiccava i gilet gialli mentre devastavano Parigi? Ora, la giovanile stagione da ‘piromane’ ha ceduto il passo a una maturità di ‘pompiere’?
D’accordo: anche Di Maio e i suoi hanno diritto all’‘immaginazione‘; però fa sorridere la sicumera con cui si ergevano a pubblici ministeri e giudici dell’altrui ‘immaginazione‘, per poi rivelarsi così ‘indulgenti‘ quando sono loro a comportarsi nello stesso modo di coloro che venivano aspramente condannati.
Al di là dei terremoti che scuotono il pianeta pentastellato e dell’agitarsi di un Giuseppe Conte che rivela tutto il suo velleitarismo, e uno smarrito Beppe Grillo che di tutta evidenza non sa che pesci prendere, sembra di essere a bordo della famosa ‘Zattera della Medusa‘, il dipinto di Théodore Géricault custodito al Louvre di Parigi: partiti, movimenti, leader, sedicenti tali, continuano imperterriti a cannibalizzarsi: il Partito Democratico di Enrico Letta ipotizza e prefigura ‘campi larghi‘ che possono convivere sia Conte che Di Maio, e si attribuisce il ruolo di ‘magnete‘. Il ‘centro‘ è qualcosa di simile a quello che Pietro Metastasio dice dell’araba fenice: «Che vi sia, ciascun lo dice; dove sia, nessun lo sa»: di certo è un ‘luogo‘ più che affollato: Forza Italia con tutte le sue diramazioni; il movimento di Giovanni Toti; alcuni fuoriusciti del M5S, prima della rottura di Di Maio; Matteo Renzi, Maurizio Lupi, Bruno Tabacci, Clemente Mastella, Giuseppe Sala, Luigi Brugnaro, Carlo Calenda, e certamente se ne sono dimenticati parecchi…
Nel centro destra sorrisi e coltellate tra Lega e Fratelli d’Italia: ogni giorno i sondaggi certificano un calo di consenso di Matteo Salvini e un contemporaneo e crescente consenso per Giorgia Meloni. Chi per ora riposa tra due guanciali, è quest’ultima. Salvini deve fare sempre più i conti con i maldipancia dell’ala governista e ‘nordista’ della Lega: da Giancarlo Giorgetti che cura i rapporti con imprenditori, partite IVA e piccole e medie imprese, ai governatori del Lombardo Veneto: Attilio Fontana, Luca Zaia, Massimiliano Fedriga, che ogni giorno hanno a che fare con un elettorato inquieto e timoroso perché sono ormai tante sono le emergenze: prima il Covid, poi la guerra in Ucraina, ci mancava la siccità… Per arrivare alle sette piaghe egiziane, ne mancano ancora quattro: cos’altro attendersi?
Mario Draghi, il più politico dei tecnici italiani, il più tecnico tra i politici italiani, è in questo infido e friabile terreno che ogni giorno deve edificare il suo governo. Ogni giorno, sapendo di poter contare solo sull’apporto del presidente della Repubblica Sergio Mattarella e sulla credibilità che si è conquistato in anni di duro e caparbio lavoro nelle capitali occidentali come banchiere e grand commis.
Conte e quello che rimane del M5S non nascondono di voler giocare quella che è ormai la loro unica carta in mano: logorare il Governo, ‘picconarlo‘ quotidianamente, nel disperato tentativo di recuperare così il consenso perduto. Lo stesso ‘gioco‘ che conduce Salvini.
Il gioco speculare delle ‘coppie’: se Conte e Salvini hanno tutto l’interesse a picconare il governo Draghi, Letta lo puntella; e per paradosso, in questo trova una sorta di alleanza con chi, all’apparenza avrebbe tutto l’interesse a combatterlo: Meloni. Lei e il suo partito sono già all’opposizione; lo sono coerentemente da sempre, non hanno nei loro armadi neppure gli scheletri dei governi Conte-Salvini e Conte-Letta: una rendita di posizione che viene da lontano; e un Draghi da utilizzare come pungiball fino a primavera 2023 è quanto mai utile. Ma appunto, come pungiball: un cazzotto e torna indietro, senza troppi danni, pronto a riceverne un altro, e un altro ancora…
In politica spesso bisogna complicare le cose per renderle più semplici. Dopo le elezioni chi ha le maggiori probabilità di uscirne meno ammaccato? Letta da una parte, Meloni dall’altra. Entrambi hanno rinunciato a modifiche della legge elettorale. Quel pasticcio a loro va più che bene. A onta delle coerenze oggi esibite, in nome di un’’emergenza’ consentirà di varare formule di governo le più fantasiose. Facendo cioè ricorso all’’immaginazione’ di cui parla Wilde.
C’è, in questi scenari, un convitato di pietra: da più di un decennio ormai si è costituito il vero partito maggioritario nel Paese: quello di chi rinuncia a votare, respinge in blocco tutto il sistema dei partiti.
Da tempo almeno la metà di quanti hanno diritto al voto decide di non esercitare questa facoltà perché delusa, frustrata, non si riconosce in nessuna delle offerte politiche che vengono avanzate. Sono corposi segmenti di società che sono respinti, e respingono a loro volta. Prima o poi si accenderà una scintilla che provocherà un incendio di proporzioni difficilmente controllabili; certo non con gli strumenti fragili e modesti di questo regime di a/democrazia cattiva.
Con un quadro politico, nazionale e internazionale, magmatico, fosco, inquietante, davvero può accadere tutto e il suo contrario. Una situazione simile a quella che nei primi anni del secolo scorso faceva dire a Benedetto Croce: «La reazione fa progresso, e con essa il suo fido indivisibile compagno, il cretinismo».
Lo storico bolognese Fulvio Cammarano, in una sua pregevole ‘Storia dell’Italia liberale‘ prende in esame un quarantennio cruciale della nostra recente storia, quello che va dal 1861 al 1901; sottolinea «…la mancata parlamentarizzazione, cioè la coerente trasformazione dei conflitti sociali in conflitti politici attraverso il radicamento della rappresentanza del conflitto, finì per evolversi in parlamentarismo, vale a dire nel primato di una rappresentanza parlamentare finalizzata a cristallizzare la conflittualità sociale, evitandone l’emancipazione in senso politico». Un parlamentarismo che diventa «l’emblema dell’impotenza politica, fonte di malcontento e frustrazione soprattutto per una considerevole parte del ceto intellettuale che finì per identificare il Parlamento con il regno delle ‘miserie’ particolaristiche e dunque estraneo, se non ostile, ai reali processi di omogenizzazione culturale e politica del paese. Il parlamentarismo rispecchiava inoltre l’effettiva mancanza di un’alternativa di governo all’interno delle stese forze costituzionali».
Cent’anni fa. Sembra oggi. Questa la situazione, questi i fatti.
Valter Vecellio – L’Indro