L’Ue fa fronte comune con Varsavia contro Lukašėnka. Merkel a Putin: “Disumana strumentalizzazione dei migranti”
“Che razza di vita è questa?”, si chiede sdegnato un curdo iracheno sulla trentina alla BBC, ormai rassegnatosi a passare un’altra notte al freddo nella terra di mezzo che separa l’avamposto bielorusso di Bruzgi da quello polacco di Kuźnica. Forse pioverà – o almeno così si inizia ad ipotizzare tra le migliaia di accampati, mentre i più fortunati preparano la coperta isotermica senza la quale il freddo mitteleuropeo (0° C) entrerebbe ancora di più nelle ossa. Non c’è bisogno di addormentarsi per conoscere cosa sogneranno: entrare nell’Unione europea, così da lasciarsi alle spalle quel Medio Oriente dal quale provengono praticamente tutti.
Le loro aspirazioni sono però diventate lo scenario di una durissima contesa internazionale, tutta interna (o quasi) all’ex Patto di Varsavia: da una parte la Polonia, che ha schierato 15.000 uomini in tenuta antisommossa lungo la foresta di Białowieża per impedire l’avanzata dei migranti; dall’altra la Bielorussia di Aljaksandr Lukašėnka, chiamato dai detrattori come “l’ultimo dittatore d’Europa”, che secondo le accuse dell’UE avrebbe di fatto istruito i suoi soldati ad agevolare l’afflusso migratorio verso il confine occidentale, comportandosi da veri e propri trafficanti di uomini. Accuse prontamente respinte al mittente dal Governo di Minsk, che a sua volta ha condannato le forze dell’ordine polacche per la brutalità disumana usata contro la folla. Non volendo passare per cattivo, il ministero della Difesa di Varsavia ha così pubblicato un video sulla propria pagina Twitter, che mostrerebbe un soldato bielorusso intento a sparare colpi di pistola in aria per intimidire gli accampati.
La verità sembra stare nel mezzo. La Polonia si è dimostrata inflessibile e ha dichiarato lo stato d’emergenza al confine, proibendo l’arrivo di ONG e volontari. Dall’altra parte, nelle ultime settimane l’esercito bielorusso non si è minimamente sforzato a mantenere lo sciame di anime lontano dal confine polacco, e secondo diverse testimonianze le avrebbe addirittura “scortate” dall’aeroporto di Minsk (dove erano atterrate in massa con voli provenienti da Istanbul, Dubai, Baghdad e Damasco) fino al villaggio frontaliero di Bruzgi, dove, sempre secondo numerose indiscrezioni, gli uomini in uniforme avrebbero aiutato i migranti a recidere la recinzione in filo spinato con alcune cesoie. A pensare male, si potrebbe dedurre che la mossa sottintende una vendetta politica da parte di Minsk contro i suoi vicini eurounionali. In primo luogo la Polonia, la Lituania e la Lettonia, ma il bersaglio grosso rimane l’Unione. Dall’ottobre del 2020 Bruxelles ha infatti imposto una serie di sanzioni contro 166 cittadini bielorussi di alto profilo – Lukašėnka incluso – e altre 15 entità, mentre a partire dallo scorso giugno è scattato il divieto per qualsiasi compagnia aerea bielorussa di sorvolare lo spazio aereo UE, dopo un clamoroso dirottamento orchestrato da Minsk per arrestare un oppositore politico. Il deterioramento delle relazioni risale alle contestate elezioni presidenziali bielorusse del 2020 (ritenute pilotate da quasi tutti gli osservatori internazionali) e alla violenta repressione delle manifestazioni popolari che ne sono seguite. Lukašėnka sembrerebbe voler punire i vicini europei colpendoli lì dove fa più male: i flussi migratori, come già sperimentato dalla Turchia di Erdoğan.
Il ricatto politico è stato condannato a più riprese non solo dal Governo di Varsavia, che ha chiesto lo stop dei voli dal Medio Oriente alla Bielorussia, ma anche dalla presidente della Commissione europea. Ursula Von Der Leyen ha criticato la Bielorussia di star mettendo “a rischio la vita delle persone”. Qualche ora dopo le ha fatto eco il ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas, che ha rilanciato la proposta della Commissione di inasprire le sanzioni contro Minsk. Secondo fonti diplomatiche citate dall’ANSA, le nuove misure allo studio dei ventisette potrebbero coinvolgere 29 individui e la compagnia aerea Belavia.
Se però l’UE fa fronte comune con Varsavia, Minsk può contare su un alleato altrettanto autorevole, ossia la Russia di Vladimir Putin. Mercoledì, il ministro degli Esteri bielorusso Uladzimir Makej ha fatto visita a Mosca all’omologo russo Sergej Lavrov, il quale ha promesso al vicino orientale supporto contro quella che Makej ha definito una strategia di UE e NATO per imporre altre sanzioni contro Minsk.
La diplomazia, intanto, cerca anch’essa di ritagliarsi uno spazio. Ad alzare la cornetta per dialogare con il presidente russo è stata la cancelliera Angela Merkel, che ha esplicitamente chiesto a Putin di sfruttare la sua (indubbia) influenza su Lukašėnka per mettere fine a questa “disumana strumentalizzazione”. Decisamente meno conciliatorio il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki, che considera il Cremlino come il cinico burattinaio del Governo bielorusso. Tutto ciò mentre Lukašėnka dice di non essere talmente pazzo da volere una guerra – che a suo avviso coinvolgerebbe anche la Russia – ma ribadendo nondimeno che il suo Paese, un Paese “ospitale”, “non si inginocchierà”.
Tra una dichiarazione un’altra, cala così la notte su Kuźnica, e qualcuno a stento trattiene le lacrime nel ricordare i decessi degli ultimi giorni – almeno sette secondo la conta ufficiale. Vittime di un percorso dantesco al contrario: dal paradiso di una vita nuova al limbo infernale dello scontro politico tra Est e Ovest.
Gennaro Mansi – VNY