Nel Discorso all’Unione la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha promesso di abolire le regole del Trattato di Dublino che impediscono la redistribuzione in Europa dei clandestini sbarcati in Italia. Ma sono bastati pochi giorni per capire che si trattava di una fregatura. Ecco perchè tutto resterà come prima.
“Aboliremo il regolamento di Dublino. Lo rimpiazzeremo con un nuovo sistema europeo di governance delle migrazioni. Avrà strutture comuni per l’asilo e per i rimpatri”. Così parlò mercoledì 16 settembre il presidente della Commissione Europea Ursula Von Der Leyen. Chi, per un attimo, ci ha creduto si è già pentito. Le promesse formulate dal presidente della Commissione Europea durante il Discorso all’Unione erano solo un “flatus vocis”. O meglio un’autentica presa per in giro per l’Italia.
La bozza di modifica del Trattato che verrà presentata alla Commissione Europea mercoledì 23 settembre non contiene, infatti, nessuna modifica rilevante all’articolo 13 del Trattato di Dublino. L’articolo attribusice al paese di primo arrivo la responsabilità delle pratiche di asilo di un migrante e rappresenta da sempre una trappola fatale per l’Italia. Il motivo è semplice. La stragrande maggioranza dei disgarziati diretti verso le nostre coste non fugge da guerre, dittature o carestia, ma insegue più banalmente il sogno di trovare un lavoro e rifarsi una vita in Europa. Un sogno che grazie all’articolo 13 del Trattato si rivela un incubo sia per l’Italia, sia per quella massa di migranti irregolari.
Non potendo né ottenere lo status di rifugiati, né essere rimpatriati a causa della mancanza di accordi con le nazioni d’origine la maggior parte di quei disgraziati si ritrovano condannati a bivaccare nei centri d’accoglienza nel nostro paese senza poter essere integrati e senza poter raggiungere altri paesi europei. E chi non viene reclutato da gruppi o organizzazioni criminale cade nelle mani dei caporali e immesso nel circuito senza uscita del lavoro nero. Ma l’articolo 13 oltre ad essere il paradigma della falsa accoglienza e dello sfruttamento è anche lo scudo dietro cui si nascondono i paesi europei contrari a qualsiasi redistribuzione dei migranti sui loro territori. Proprio per questo solo l’eliminazione di quella regola poteva mettere fine alle storture di Dublino. Ancora una volta, invece, l’ipocrisia dei tanti paesi membri ha avuto la meglio.
La svedese Ylva Johansson Commissaria agli Affari Interni dell’Unione anticipando la bozza di riforma di cui è relatrice ha escluso qualsiasi ipotesi di ripartizione obbligatoria. Nell’ambito delle nuove regole – stando a quanto fatto capire dalla Commissaria l’Unione – si punterà soltanto a facilitare i meccanismi di rimpatrio. Ma poichè gli accordi di qel tipo richiedono anni di negoziati con i paesi d’origine dei migranti è facile intuire che per l’Italia nulla cambierà.
Anzi in teoria le cose peggiorerano. La nuova bozza cancellerà anche le intese sulla parziale redistribuzione dei migranti – regolari e irregolari – raggiunte un anno fa a Malta dal ministro degli interni Luciana Lamorgese. Il ministro, a quel tempo, le definì la prima vittoria dell’Italia sul fronte delle politiche migratorie. In verità anche quella si rivelò una presa in giro. In un anno la Germania e gli altri partner europei si sono presi appena 426 migranti a fronte degli oltre 28mila approdati nello stesso periodo sulle nostre coste. Ma il ripudio di quelle intese seppur minimali e la loro sostituzione con meccanismi basati esclusivamente sui rimpatri cancellerà definitivamente la possibilità di redistribuire i migranti su base europea.
E questo significherà condannare definitivamente l’Italia al ruolo di campo profughi del Mediterraneo. E a rendere ancor più grigio il panorama s’aggiunge la debolezza di un governo giallo-rosso consapevole che qualsiasi tentativo di protesta allontanerà il sogno di accedere ai 200 e passa miliardi dal Recovery Found. Miliardi che verranno distribuiti soltanto finchè l’Italia accetterà docilmente i diktat di Bruxelles.
G. Micalessin