Il neo cancelliere evoca un’alleanza militare europea alternativa alla Nato. Scrocconismo sotto l’atlantismo: se non è gratis, addio. Washington non vuole una separazione, ma una revisione

L’avanzata di Alternative für Deutschland (AfD) è stata arginata ma la riedizione bonsai della Grande Coalizione tra vincitori e sconfitti delle elezioni – CDU/CSU e SPD – è la più fragile, sia numericamente (una dozzina di deputati) che politicamente, che si ricordi, e sarà lo specchio della maggioranza che ha rieletto Ursula Von der Leyen alla presidenza della Commissione europea.

Grande Coalizione fragile

Se infatti per la SPD è stato il peggior risultato della storia, per la CDU/CSU è stato il secondo peggior risultato. Non proprio qualcosa a cui brindare. Il tracollo elettorale e il rinnovo di leadership dei socialisti potrebbe rendere meno complicata la coabitazione per il nuovo cancelliere Friedrich Merz, ma c’è da considerare che entrambi i partiti avranno, alla loro destra (AfD) e alla loro sinistra (Linke e Verdi), avversari di peso che eserciteranno forti spinte centrifughe, pronti a capitalizzare elettoralmente qualsiasi incertezza della coalizione centrista.

Fondato il paragone proposto da Lorenzo Castellani con l’esito delle elezioni politiche italiane nel 2013. Per evitare il boom di AfD al prossimo giro, come quello del Movimento 5 Stelle nel 2018, il governo Merz dovrà riuscire ad essere duro sull’immigrazione e il controllo dei confini, e a rimettere in moto la Locomotiva tedesca.

Difficile, se non impossibile, senza cancellare le follie decliniste del Green Deal e senza un ritorno al nucleare. Ora, una stretta sull’immigrazione la vediamo più percorribile per Merz, mentre più difficile la retromarcia sulle politiche green, sia per i maggiori interessi coinvolti, sia perché anche il suo partito si è compromesso, avendole sposate con convinzione.

L’avanzata di AfD

Risultato notevole, da non sottovalutare, quello di AfD. Quando un partito raddoppia la sua percentuale di consenso ed elegge 152 deputati non si può parlare di delusione, anche se non andrà al governo per la nota conventio ad excludendum. È un partito però ancora indietro nel suo processo per diventare partito di governo. Ha raccolto il voto dell’elettore mediano nella ex Ddr, dove ha vinto in quasi tutti i collegi uninominali tranne Berlino, ma in Germania occidentale è ancora un partito da voto di protesta.

L’isteria per Musk e Vance

Con un certo compiacimento si fa notare da più parti che gli endorsement di Elon Musk e del vicepresidente Usa J.D. Vance non hanno influito sul voto. Vero, ma a maggior ragione le reazioni scomposte, gli allarmi, e addirittura le richieste di bloccare i social, da parte di quello stesso commentariato, rientrano nella categoria isteria ingiustificata.

Indipendenza dagli Usa

Ma qui vogliamo concentrarci sulle dichiarazioni di ieri sera, poche ore dopo la chiusura delle urne, del prossimo cancelliere Merz: “Sto comunicando a stretto contatto con molti primi ministri e capi di stato dell’Ue e per me è una priorità assoluta rafforzare l’Europa il più rapidamente possibile, in modo da ottenere l’indipendenza dagli Stati Uniti, passo dopo passo… Non avrei mai pensato che avrei dovuto dire qualcosa del genere, in televisione, ma dopo le ultime dichiarazioni di Donald Trump della settimana scorsa, è chiaro che gli americani – in ogni caso questi americani, questa amministrazione – per lo più non si preoccupano del destino dell’Europa, in un modo o nell’altro”.

Parole pesanti se pensiamo che Merz ha fama di essere un atlantista di ferro, non un seguace della Ostpolitik che fu di Angela Merkel. Degno di nota anche che abbia qualificato le posizioni espresse in modo aperto e trasparente da Musk e Vance come “ingerenza non meno radicale e scandalosa” di quella russa, considerando che Mosca è accusata di una guerra ibrida per influenzare le elezioni nei Paesi europei. Poi ieri Merz rincarato la dose: “L’Europa potrebbe aver bisogno di una propria alleanza militare invece della Nato. La Germania non può più contare sulla protezione dell’ombrello nucleare Usa e dobbiamo negoziare con il Regno Unito e la Francia affinché estendano il loro sostegno nucleare ad altre nazioni europee”.

Il discorso del tendone della birra

Il riferimento di Merz alla “indipendenza” dagli Stati Uniti, oltre a risuonare come una versione ancora più estrema della “autonomia strategia” cara ai francesi, ricorda lo stesso concetto espresso da Angela Merkel nell’ormai lontano 2017, a poche settimane dall’insediamento della prima presidenza Trump.

Come fu notato all’epoca, suonava agghiacciante un cancelliere tedesco che sotto un tendone della birra a Monaco sosteneva che dopo Trump e Brexit non ci si potesse più fidare di americani e inglesi come alleati.

“I tempi in cui potevamo fidarci completamente degli altri sono passati da un bel pezzo, questo l’ho capito negli ultimi giorni. Noi europei dobbiamo davvero prendere il nostro destino nelle nostre mani“. Nella frase successiva, sulla necessità di mantenere naturalmente “relazioni amichevoli con Stati Uniti e Regno Unito”, Merkel metteva sullo stesso piano, tra “gli altri vicini” dell’Europa, la Russia di Putin.

Con le sue parole l’allora cancelliera suggeriva di considerare concluso l’ordine mondiale post-bellico, di smetterla di ritenere i nostri liberatori, Stati Uniti e Regno Unito, “alleati affidabili”, per entrare in una nuova epoca di equidistanza dai nostri vicini a Occidente e ad Oriente.

Quello che passò alla cronaca, non diremmo alla storia, come il “discorso del tendone della birra” doveva segnare uno spartiacque nelle relazioni transatlantiche con gli Usa. In quegli stessi giorni alcuni media riportavano un “piano segreto” della cancelliera per costruire una Unione europea politicamente ed economicamente più forte e indipendente, con una politica di difesa comune e un comando centrale di battaglioni degli eserciti europei. Se ne fece qualcosa? No.

Revisione, non separazione

Già all’epoca del suo primo mandato, lo ricorderete, Trump mise sul tavolo con forza il tema di un maggiore impegno degli alleati europei sul piano della spesa militare e della sicurezza del nostro Continente. Già allora Trump, come le precedenti amministrazioni Usa, mirava ad un riequilibrio degli oneri nell’Alleanza Atlantica. Ottenne qualche decimale di punto di spesa militare in più – da alcuni Paesi ma non da tutti e sicuramente non da Berlino – nonostante le promesse e gli annunci di fare addirittura “da soli”.

Già nei suoi primi quattro anni Donald Trump aveva presentato il conto. L’ombrello di difesa Usa “is not for free”non sarà gratis. L’America non vuole più pagare per la sicurezza e il benessere altrui e oltretutto essere anche bacchettata. Non sarà gratis né sul piano militare, gli alleati dovranno accollarsi la giusta quota di spese e di oneri. Né sul piano commerciale: gli Stati Uniti non sono più disponibili a perdere tessuto produttivo e posti di lavoro sull’altare del libero commercio mondiale e della globalizzazione. La parola chiave, allora come oggi, è reciprocità.

Allora come oggi gli Stati Uniti non si stanno separando dall’Europa, si stanno sforzando di rinegoziare i termini del loro legame con l’Europa, perché il mondo contemporaneo obbliga a impiegare, nell’interesse dell’Europa stessa e dell’intero Occidente, enormi risorse nel contenimento della Cina ed è quindi necessario riequilibrare l’impegno nella difesa del Continente europeo.

Solo che gli europei sono sordi, dal 2017 ad oggi sono trascorsi ben otto anni, quasi un decennio, e ben poco è cambiato, nonostante nel frattempo sia scoppiata una guerra in Europa, nonostante l’aggressione della Russia – dalla quale l’Europa pretende di essere difesa. Capirete bene che la pazienza di Donald Trump si sta esaurendo e quello che vediamo oggi, all’inizio del suo secondo mandato, è che sta ponendo lo stesso tema in modo ancora più brutale.

L’ipocrisia tedesca

A questo di fatto Merz reagisce come reagì la cancelliera Merkel: indipendenza. Vorrà dire che faremo da soli. Gratta gratta, quindi, l’atlantismo era solo scrocconismo. Tutti atlantisti finché il pasto – l’ombrello di difesa Usa – è gratis. Se gli Usa ci chiedono, dopo 70 anni in cui in Europa abbiamo costruito il nostro benessere grazie alla pax americana, di contribuire di più e aprire i nostri mercati, allora addio.

Tra l’altro, questa dichiarazione di indipendenza è piuttosto velleitaria. Un conto è andare incontro alle richieste Usa di una maggiore spesa militare in rapporto al Pil, di contribuire alla sicurezza dell’Ucraina. Tutt’altra questione rendersi “indipendenti”. Come ha giustamente osservato il nostro Max Balestra, l’unico modo in cui l’Europa può raggiungere “l’indipendenza dagli Stati Uniti” è tagliare i suoi programmi socio-ambientali, il suo generoso stato sociale, modernizzare la sua economia, investire in armamenti e forze di combattimento rapide.

Ma guarda caso, queste sono le ultime cose che le élites europee “arrabbiate con Trump”, come Merz ma ancor di più le sinistre, vogliono fare. E in particolare Berlino, che ha un vincolo costituzionale che le impedisce l’aumento del debito e che si oppone al debito comune Ue. Se anche dovesse essere varato un “Pnrr della difesa”, o lo scorporo degli investimenti militari dal Patto di stabilità, non coprirebbero la necessaria maggiore spesa corrente per la difesa. Puoi investire in un nuovo carro armato, ma poi devi mantenerlo operativo.

Quanto all’ombrello nucleare, la dottrina francese non comprende l’uso dell’arsenale nucleare per la difesa dell’intero Continente europeo, è qualcosa che va negoziato e che non sarebbe gratis. Potremmo scoprire che il prezzo di Parigi sia ben più caro di quello che dopo 70 anni di difesa gratis ci chiedono ora gli Stati Uniti (i tedeschi ci metterebbero i soldi e i francesi la leadership??). Per un arsenale nucleare che sarebbe comunque insufficiente a esercitare una credibile deterrenza nei confronti di quello russo o cinese.

Federico Punzi – Atlantico