La messa in sicurezza di infrastrutture e pubblici edifici nel Belpaese è pressoché nulla.
In riferimento al crollo del ponte Morandi di Genova – a parte eventuali errori di calcolo in fase di progettazione –  si può tranquillamente sostenere fin da subito che le principali cause di degrado di un ponte in cemento armato sono gli agenti atmosferici che con il tempo finiscono con il danneggiare inesorabilmente l’intera costruzione  fino ad arrivare alla struttura in ferro che costituisce l’armatura portante del manufatto. Tuttavia una regolare e normalissima manutenzione può ovviare il problema e gli strumenti per  eseguire tali fondamentali operazioni ci sono. Con sonde e sensori si può controllare la condizione  della struttura e intervenire là, qualora occorra. Addirittura oggi tali controlli si possono praticare anche a distanza. Dunque, il massimo della praticità a spesa ridotta.  Eppure questo non si fa e se viene fatto non lo si fa in maniera corretta, scrupolosa, preso atto dei risultati prodotti che portano alle immani catastrofi. E proprio riguardo ai viadotti è da autentici criminali non intervenire in caso di deterioramento del calcestruzzo, un problema che riguarda tutti i ponti in Italia. Questo ricordiamolo bene.
Chi ha sbagliato pagherà, vanno individuati i responsabili, fuori i nomi di coloro che dovevano provvedere alla manutenzione. Sono le solite frasi, le solite promesse rituali – che dovrebbero innanzitutto imbarazzare chi ancora  le proferisce –  a poche ore dall’ennesima tragedia annunciata causata dallo  sbriciolamento di quel ponte che univa Genova e che ha provocato una strage. Al momento il bilancio, che potrebbe purtroppo aumentare, è di 39 morti, tra questi alcuni giovanissimi, e una ventina di feriti. Adesso sono molti coloro che lanciano accuse, quelli che dicono che era un ponte a rischio, che la tragedia si poteva evitare. Come detto che fosse un’opera nata male o che sia mancata una corretta manutenzione lasciamolo stabilire a chi sarà chiamato  a capire   le cause del cedimento. Il resto sono inutili chiacchiere.
Ricordiamo invece i moniti lanciati ancora decenni fa da Marco Pannella che con sorprendente lungimiranza – come del resto in tutte le sue innumerevoli battaglie – insisteva sulla mancata vigilanza del territorio  e sui rischi idrogeologici che tali negligenze avrebbero potuto provocare. Appelli, quelli del leader dei Radicali, puntualmente inascoltati dai “fenomeni” delle politica nostrana e da quelle che vengono chiamate “autorità competenti in materia”, quando in realtà di autorevole competenza non si intravede neppure l’ombra.   Quante volte dai microfoni di Radio Radicale abbiamo sentito Pannella dibattere con l’amico e collaboratore dell’emittente Aldo Loris Rossi , geologo e urbanista, riguardo ai grandi pericoli del territorio, all’urgenza di intraprendere una azione di prevenzione sul dissesto idrogeologico. Entrambi concordavano che in questo sciagurato Paese dell’eterna emergenza e del senno di poi era un dovere  eliminare tutta una serie di opere spazzatura, così le definivano, edificate dal dopoguerra agli anni ’70, prive di qualità e di interesse storico ma soprattutto senza nessuna cognizione sul fronte dell’efficienza sismica. Insomma, una Italia in buona parte  da rifare, da ricostruire con i criteri studiati in Giappone, altra zona ad alto rischio terremoti, invece che cercare i rimedi dopo ogni disastro che poteva essere decisamente evitato. Azione, quella di monitorare l’ambiente in  cui viviamo, che  avrebbe costi parecchio inferiori rispetto a quelli che lo Stato deve sostenere quando tocca affrontare l’emergenza, come dicevano  Pannella e Rossi.
Bene, questa volta vorremmo conoscere le cause che hanno determinato il cedimento del ponte ma  la ragione ci porta a credere che questo disastro vada ahimè ad aggiungersi alla lista nera di disgrazie che potevano essere evitate.
Intanto si contano ancora una volta i morti che hanno perso la vita per la criminale incapacità di prendersi cura dell’ambiente. Quell’ambiente che ci lancia dei messaggi di allarme ma noi, incredibilmente, continuiamo a girare la testa da un’altra parte.