I conservatori

non hanno più la maggioranza.

Per rimanere in piedi

costretti ad un accordo

con gli Unionisti nordirlandesi

Dopo Trump e la Brexit da Oltremanica un’altra sorpresa: Theresa May perde la grande scommessa.

Alla fine i veri vincitori sono i Labour.  Pensare che queste elezioni anticipate erano state volute dal primo ministro che voleva liberarsi  definitivamente dal peso degli avversari rafforzando così la propria maggioranza a Westminster per trattare con più forza le delicate fasi di uscita dall’Ue.

E invece il piano è miseramente naufragato e tutto improvvisamente si complica.

Ora il Regno Unito si trovi con un “hung Parliament” che tradotto significa un parlamento impiccato, ovvero  che non ha  una maggioranza. E noi italiani non facciamo fatica a capire queste condizioni di equilibrismi ondivaghi.

Per governare in piena autonomia ai Tories sarebbero serviti almeno 326 seggi ma ne hanno guadagnati solo 318 contro i Labour di Corbyn che ne hanno incassati 262 confermando di essere andati molto meglio delle precedente tornata del 2015 ottenendo in più ben 28 seggi. Tuttavia gli unionisti nordirlandesi (Dup) sono disposti ad un accordo con il partito del primo ministro  portando in dote i 10 seggi conquistati che permetterebbero a questo punto la formazione di un  governo di coalizione. Così Theresa May che voleva passare alla storia come  la nuova Margaret Thatcher ha invece  perso la scommessa e il suo destino politico è ormai appeso a un filo.

Ha voluto il voto anticipato perché voleva una maggioranza e un governo più saldo con l’obiettivo di avere maggiore peso nei negoziati sulla  Brexit (e magari voleva dettare lei le condizioni di uscita dall’Ue) mentre in realtà le cose si sono letteralmente capovolte e i conservatori sono finiti all’angolo, ovvero pur rimanendo il primo partito hanno perso però la maggioranza di governo. Addirittura una fronda interna subito dopo l’esito infelice scaturito dalle urne  chiedeva alla premier un passo indietro ma poi ad arginare il disastro è arrivato il soccorso irlandese grazie al quale, unendo le forze, si arriverebbe alla maggioranza assoluta con 328 seggi.

Sta di fatto che oltre ad essere a rischio la sua leadership per May il percorso adesso è tutto in salita.

Se prima considerava di non avere le mani sufficientemente  libere per negoziare sull’uscita dall’unione europea avendo alle spalle la garanzia di una ventina di seggi, ci si chiede come farà adesso May a trattare con Bruxelles con un maggioranza decisamente indebolita rispetto a quella uscente che conta alla fine un paio di deputati. Tutto questo se andrà in porto l’intesa con il Dup, naturalmente. Nelle ultime ore corre voce che già domani May  abbia intenzione di ammettere  la sconfitta e rassegni le dimissioni lasciando che sia un collega di partito a reggere le redini di una coalizione che si preannuncia piuttosto traballante. Tra gli esponenti più gettonati che la potrebbero sostituire in corsa il ministro degli esteri Boris Johnson da sempre alla testa del fronte degli euroscettici.

Altra ipotesi possibile che viene ventilata in casa Tory sarebbe quella  di un’asse tra i due maggiori partiti, conservatori e laburisti, in grado di portare avanti le trattative sulla Brexit cercando di uscirne con i minori danni. Ma se tale intesa dovesse essere percorribile è escluso che i Labour accettino che May rimanga a Downing Street. Questa è la vera posta in gioco. Al di là di tutto resta comunque un dubbio: questa coalizione che raggrupperebbe  destra e sinistra  potrebbe non essere gradita a quella consistente parte di elettorato che ha votato Corbyn.

Insomma, tutto è ancora in alto mare, May ha incontrato la Regina mentre in casa Tories si respira aria da resa dei conti.