Comunque vadano le cose l’intervento deciso e tempestivo di Mario Draghi alla prima uscita dopo la conclusione del mandato di presidente della BCE, resterà un segno dei tempi.
Non ha usato mezzi termini muovendo da un avvertimento agghiacciante: l’economia è ferma e quando ripartirà non sappiamo quanto ancora avremo delle nostre attività produttive; l’emergenza sanitaria ha colpito in modo durissimo tutto ciò che eravamo abituati da sempre a ritenere normale e ordinario pur tra alti e bassi: il lavoro e l’impresa, le risorse pubbliche e quelle private, i salari e le pensioni, l’assistenza, la sanità, la scuola.
Non è una crisi ciclica come tante che abbiamo conosciute, è simmetrica e colpisce tutti. Non deriva dalla responsabilità di un Paese o di un altro e forse non è neppure una normale recessione solo un po’ più seria. Il rischio è quello di trovarci davanti ad una vera e propria depressione come è successo alla fine degli anni venti con quanto ne è conseguito.
Da qui Draghi non lancia solo l’appello a fare presto ad intervenire, ma va oltre e non esita a proporre una scelta: il rischio di distruzione delle attività produttive del Paese è più dannoso dell’aumento del debito pubblico.
Eccola l’alternativa del diavolo per tutti coloro che sin a ieri ritenevano il debito pubblico italiano l’ostacolo decisivo alla crescita. L’ex presidente della BCE, con una freddezza che è più dello statista che del banchiere, non ha dubbi e la supera proponendo il ricorso all’utilizzo immediato del debito. Il rientro infatti sarà pur sempre programmabile nel lungo termine mentre la distruzione permanente di attività produttive sarebbe fatale.
Draghi peraltro non entra nel merito degli strumenti ma raccomanda di intervenire incanalando liquidità verso le imprese e le famiglie, anche a valere su garanzie rilasciate dallo Stato, e non costringendo così le banche a valutare il rischio nei propri bilanci.
Necessariamente entrano in gioco a questo punto gli strumenti della politica e della finanza, il ruolo dei mercati e la stessa sovranità nazionale. Senza indulgere in tecnicismi è possibile richiamare gli interventi del governo già avviati; l’iniziativa della BCE per acquisti di titoli pubblici e privati per circa 1000 miliardi; la sospensione del Patto di Stabilità da parte del Consiglio Europeo che poneva limiti al rapporto tra il prodotto nazionale e il debito.
Da definire è comunque il ruolo dell’Europa, apertissimo in questi giorni dopo la rottura nell’Eurogruppo che dovrà decidere entro due settimane su come utilizzare il MES (Meccanismo Europeo di Stabilità) oppure aprire alla emissione di eurobond. Non saranno decisioni facili nonostante l’emergenza.
L’utilizzo del MES è possibile tenuto conto che l’accesso ai fondi non sarebbe di un solo Paese in difficoltà, con le conseguenti onerose “condizioni” da rispettare (come è avvenuto per la Grecia) visto che la crisi investe tutti.
Sugli eurobond, che sono obbligazioni garantite dalla BCE, inutile farsi illusioni perché implicano operazioni complesse e non si organizzano dalla sera alla mattina. A meno che siano finalizzati esclusivamente al superamento della emergenza sanitaria.
In ogni caso l’Europa avrà un ruolo decisivo per evitare la depressione.
I protagonisti delle tragedie greche hanno sovente la possibilità di evitare la sciagura e non lo fanno. Ciò che sta accadendo nel confronto tra i governi europei ha tutte le sembianze, e speriamo non l’esito, di una tragedia greca.
di Guido Puccio – politicainsieme