La manovra infiamma gli animi dei tanti voltagabbana e opportunisti leccaculisti che sostengono questo governo nato da vergognosi intrallazzi di palazzo. Ricatti e ultimatum di queste ultime ore si tradurranno con molta probabilità in puntuali bluff che non mineranno certo la tenuta di questa maggioranza raffazzonata. Del resto sappiamo bene che i personaggi che ne fanno parte sarebbero disposti a qualsiasi cosa pur di non perdere la poltrona lautamente retribuita. Ne abbiamo avuto prova lo scorso agosto: pur di non permettere il voto agli italiani si è consumata l’orribile orgia di potere ideata da Renzi che ha dato forma al mostro: l’asse grillo-sinistro che ha creato quel “capolavoro” del Conte bis.
Uno scontro tutto interno alla maggioranza dunque che è stata materia di confronto nel vertice di ieri sera convocato d’urgenza dal premier Giuseppi Conte per tentare di calmare le tensioni tra Palazzo Chigi e Di Maio sulla manovra finanziaria. Mentre Renzi dalla Leopolda, terminata domenica, ha gettato altra benzina sul fuoco, come sua abitudine, surriscaldando così il confronto con un esecutivo fantoccio che lui stesso tiene in pugno e che può far cadere come e quando vuole. Attraverso i social dure sono state le bordate di Di Maio indirizzate verso il premier che ieri, stanco delle invettive, ha lanciato secco un segnale anche verso lo spavaldo toscano “chi non fa squadra è fuori dal governo”.
In sostanza diciamo che il ministro degli Esteri ha insistito affinchè fossero inserite nel documento economico alcune modifiche di peso. Pressioni di stampo grillozzo che hanno suonato come ultimatum visto che Giggino le definisce addirittura modifiche imprescindibili. Teniamoci forte: la prima è il carcere per i grandi evasori e la confisca dei beni per cifre sopra i 100 mila euro all’anno. Poi la riduzione delle commissioni sul Pos, infine il mantenimento della flat tax per le partite Iva fino a 65mila euro.
Ma lo scontro ha assunto i connotati di una autentica pagliacciata. Il braccio di ferro tra Giuseppi e Giggino è iniziato a poche ore dal Consiglio dei ministri notturno della scorsa settimana che di fatto ha dato il via libera alla legge di bilancio e al decreto fiscale. Vale a dire che tutti dopo aver discusso a lungo alla fine avevano concordato sulla manovra. Quindi la questione era stata chiusa… se ci fossimo trovati di fronte a persone serie e capaci. Perchè adesso a scoppio ritardato hanno puntato i piedi i grillozzi che, sappiamo bene, cambiano idea da un momento all’altro dimostrando per l’ennesima volta la loro inaffidabilità: hanno fatto retromarcia e contestano alcune misure già decise nel Cdm terminato alle 5 del mattino – e quindi finendo con il sconfessare anche se stessi – minando così la strategia già concordata tra le forze giallorosse sulla lotta all’evasione fiscale che lo stesso presidente del Consiglio ha fermamente voluto.
E qui i seguaci del guru Grillo hanno dimostrato, se ce ne fosse stato ancora bisogno, la loro più completa incapacità e incompetenza. Si sono resi conto – sempre dopo naturalmente – che le scelte da loro stessi adottate e inserite nella manovra hanno finito con il penalizzare pesantemente le categorie dei piccoli imprenditori, dei commercianti e degli artigiani che verranno massacrati dalle spese. Ora viene da chiedersi dove fossero con la testa i grillozzi per non rendersi conto in sede di confronto a palazzo Chigi di un tale errore?
Mentre dall’altra parte c’è l’avvocato del popolo che non vuole certo stravolgere le proprie direttive. Insomma, Giuseppi se desse retta alla demenza stellata finirebbe per sconfessare se stesso e poi – e qui ha ragione da vendere – ribadisce che la mediazione politica c’è già stata, ovvero tutto è già stato ormai deciso nel consiglio dei ministri protrattosi sino all’alba e che alla fine aveva approvato l’intero provvedimento pronto al vaglio del Parlamento. Diciamo inoltre che i grilluti pretendono non di inserire piccoli aggiustamenti, cambiamenti che nel contesto potrebbero essere anche possibili, come la rimodulazione delle multe, ma di cancellare addirittura alcune norme principali che reggono l’intero impianto dell’intervento economico.
Intanto Conte cerca di tenere la barra al centro con l’appoggio del Pd. Al riguardo alcuni dem di governo concordano sull’anomalia di questo secondo passaggio in Cdm che può apportare al limite delle limature al decreto fiscale ma la struttura della manovra non si tocca. Quella è stata approvata e quella resta. Sarà davvero così o la maggioranza sinistro-stellata tenterà strani giochi di prestigio pur di rimanere nelle stanze del potere prendendo in giro gli italiani?
Alla fine di una serie di capriole i camaleonti di palazzo, come era del resto facilmente prevedibile, hanno trovato la quadra. Una sorta di tregua armata che accontenta i giustizialisti a 5 Stelle che tentano così di rifarsi il trucco cercando disperatamente di recuperare il consenso perso: viene formalizzato il carcere per gli evasori fiscali e vengono rinviate le norme su carte di credito e pos.
Nel dettaglio viene rinviato al prossimo luglio sia l’abbassamento del tetto al contante, sia le multe per chi non consente di pagare con pos, in attesa di un accordo sul calo dei costi delle commissioni delle carte di credito e della creazione di una piattaforma informatica dove far confluire tutti i dati utili al funzionamento del pacchetto anti evasione. C’è poi l’intesa sull’inasprimento del carcere per gli evasori e sulla confisca per sproporzione, sul modello di quella che si applica ai mafiosi. È previsto il carcere da 4 a 8 anni per chi evade più di 100 mila euro. La stretta, che entra subito nel testo del decreto fiscale, sarà in vigore solo dopo la conversione in legge da parte del Parlamento.