di Domenico Ricciotti
Questa notte (7,36 del mattino, ora di Tokyo) dal territorio della Corea del Nord sono stati lanciati verso le coste giapponesi ben 4 missili a lunga gittata. Di questi tre, dopo qualche minuto si sono inabissati nel mar del Giappone a 200 miglia dalla costa giapponese, mentre del quarto al momento non si ha traccia, forse esploso in volo subito dopo il lancio. Sia il governo di Tokyo, che quello di Seul (Corea del Sud), appoggiati dagli USA, hanno formalizzato una nota di protesta, minacciando il governo del dittatore Kim Jong-un di gravissime conseguenze sia sul piano politico e sia sul piano militare.
La situazione, dal momento della presa di potere del dittatore Kim, è sempre tesa e sul punto di esplodere in un conflitto, da diplomatico in militare. Però, per correttezza, occorre ricordare come da qualche giorno siano iniziate le annuali manovre militari congiunte tra forze USA e esercito sudcoreano. E Pyongyang ha sempre ritenuto queste esercitazioni una provocazione tesa a minacciare la Repubblica della Corea del Nord e a intimidirla. E aveva avvertito i governi dell’area di possibili ritorsioni a seguito della provocazione. Questa spiegazione parrebbe riportare il tutto nell’ambito della diplomazia muscolare che USA e Corea del Nord hanno intrapreso da alcuni anni.
Tuttavia, non bisogna sottovalutare il grave rischio corso. Infatti se, a seguito di un mal funzionamento delle comunicazioni tra missile e centrale di controllo nord-coreana, uno solo dei missili fosse finito qualche centinaio di miglia oltre, colpendo il territorio giapponese, quali mai sarebbero state le conseguenze? Il Giappone avrebbe risposto? E gli USA sarebbero intervenuti a difesa del proprio alleato?
Ecco che a scherzare col fuoco si rischia sempre di bruciarsi.
Ma cosa spinge il governo di Kim Jong-un ad alzare sempre più la posta? A nostro giudizio sono le sanzioni commerciali che stanno strozzando l’economia nord-coreana ed affamando il suo popolo inerme, mentre il suo leader Kim Jong-un, nipote del padre della patria Kim Il-sung e figlio del suo successore Kim Jong-il, appare sempre più grasso fino all’obesità, dato che questa immagine in Corea del Nord trasmette al popolo tranquillità e senso di benessere. Questa drammatica situazione economica, tutta tesa a rendere più fragile il consenso popolare verso il regime, in realtà punisce soprattutto le fasce più povere della popolazione civile, e rende sempre più aggressiva la politica estera di Pyongyang, ma ha anche la conseguenza della imprevedibilità della guida suprema del partito. Accerchiato diplomaticamente, strangolato economicamente, immobilizzato militarmente, il regime rischia di tentare il tutto per tutto per uscire in qualche modo da questa situazione di impotenza, sia con l’acquisizione della tecnologia nucleare e sia con una qualche possibile sortita militare.
Quando si ha a che fare con dittatori non si possono usare diverse strategie, una volta la diplomazia, una volta le sanzioni e una volta una prova muscolare militare, dato che poi tornare indietro non è percorribile, perché il regime vestirebbe di vittoria ogni marcia indietro dell’avversario.
Se si sceglie una strategia occorre portarla avanti senza tentennamenti fino alle estreme conseguenze. Ma non è nelle corde delle democrazie di stampo occidentale. In una guerra possibile con la Corea del Nord tutti sarebbero sconfitti: i nord coreani si vedrebbero devastare il loro paese con migliaia di morti e con conseguente inquinamento nucleare a livelli stratosferici; la Corea del Sud che potrebbe subire un attacco nucleare; il Giappone e la stessa Cina ne sarebbero coinvolte, così pure gli USA sulla cui responsabilità graverebbe l’onere dell’attacco.
Al momento è bene restare per tutti a livello della diplomazia muscolare e non andare oltre. E prepararci ad altre notizie con possibili rischi di questo tipo.