Quando Renzi ha messo alla porta la vecchia guardia del partito gli animi dei suoi seguaci si sono letteralmente infuocati e dalla ex stazione fiorentina un urlo corale si è levato contro la minoranza: “Fuori, Fuori”, le parole riecheggiate.
Il primo atto della fine del Pd è andato in scena. Ora non resta che aspettare l’esito del referendum: se vincerà il “Si” Renzi sarà il capo indiscusso, avrà mano libera a tutto campo con il potere di fare una volta per tutte piazza pulita contro chi gli ha sempre messo i bastoni tra le ruote.
Botte fuori, fiSchi dentro alla settima edizione renziana
La storia si ripete e alla kermesse si è assistito all’imbarazzante cambio di casacca alla corte dei voltagabbana che facevano a gara per farsi belli agli occhi del nuovo padrone, Renzi, ovviamente, con la speranza di riceverne in futuro incarichi e prebende. Quanti insulti sono volati quando nel suo intervento il presidente del consiglio ha attaccato D’Alema, Bersani e il resto della vecchia guardia, leader che non molto tempo fa erano osannati dagli stessi capi bastone e dal resto degli attacchini oggi la “milizia di Matteo” schierata alla Leopolda. Più che di scissione, dunque, è la fine del Pd a cui Renzi, a conti fatti, non si è mai del tutto riconosciuto. Del resto cosa potrebbe avere in comune lui e la sinistra.
In platea una umanità eterogenea, quelli più attempati in cerca di un nuovo capo da servire e quelli più giovani saliti sul carro del vincitore ipnotizzati dal “processo rottamazione”. E tra questi ultimi non mancano coloro che inseguono la speranza di trovarsi una fonte di guadagno proprio attraverso la politica che paga sempre bene. E di esempi da seguire ce ne sono anche troppi in tutte le formazioni partitiche.