Immune alle critiche, appoggiato dal mondo industriale e bancario tedesco, il cancelliere è funzionale alla strategia di Pechino: indebolire l’Ue e staccarla dagli Usa
Molto si è detto e scritto – anche su questo giornale – circa la visita in Cina di Olaf Scholz. Pareva, il cancelliere tedesco, un politico piuttosto opaco e debole, privo di idee originali, e prigioniero delle contraddizioni della “coalizione arcobaleno” che lo ha condotto alla vittoria elettorale scalzando la CDU di Angela Merkel.
E invece, sorprendendo tutti, in brevissimo tempo ha piazzato dei colpi da KO che rischiano seriamente di condurre alla crisi finale di un’Unione europea, già traballante dopo la Brexit e l’invasione russa dell’Ucraina.
Prima gli interessi tedeschi
Il messaggio che Scholz ha lanciato è chiarissimo. La solidarietà europea (e atlantica) conta ben poco di fronte alla possibilità che l’apparato economico e produttivo della Germania piombi in una pericolosissima recessione, a causa dell’interruzione (per ora solo parziale) delle forniture energetiche russe, nonché del rallentamento evidente degli scambi commerciali globali. Dovuti certo alla pandemia, ma anche alla folle politica dei lockdown totali praticata dalla Repubblica Popolare.
A questo punto il cancelliere si è ricordato che l’inno tedesco recita “Germania al di sopra di tutto, al di sopra di tutto nel mondo”, al cui confronto “L’inno alla gioia” della Ue dev’essergli sembrato assai meno importante e significativo.
Intendiamoci, le azioni del cancelliere sono tutt’altro che irrazionali e, al contrario, risultano dettate da una logica stringente. Vuole a tutti i costi preservare l’economia e la società tedesche da una crisi che potrebbe rivelarsi epocale.
I tre colpi
Ecco quindi i 200 miliardi di euro stanziati a sostegno di famiglie e imprese per aiutarle ad affrontare il rialzo delle bollette. Senza – lo si noti – neppure avvertire in anticipo la sua connazionale Ursula Von der Leyen, presidente della Commissione europea.
Poi l’autorizzazione concessa al gigante cinese Cosco a sbarcare sulle banchine del porto di Amburgo, il più importante e strategico del Paese. Infine, il viaggio a Pechino, dove ha fatto i complimenti a Xi Jinping per il suo terzo mandato. In cambio ha ottenuto una generica condanna dell’uso delle armi nucleari. Ma l’autocrate di Pechino tale condanna l’aveva già pronunciata, senza attendere l’arrivo di Scholz.
Immune alle critiche
Non si è affatto curato, il cancelliere, delle aspre critiche che gli hanno rivolto non solo l’opposizione cristiano-democratica, ma anche i verdi e i liberali che fanno parte del suo stesso governo. E ha respinto la proposta di Macron di una visita congiunta, per salvare la faccia alla Ue.
Gli basta, ovviamente, l’appoggio del mondo imprenditoriale e bancario tedesco, una cui nutrita delegazione lo ha accompagnato nella visita. Ha chiesto a Xi il rispetto dei diritti umani, ma si tratta di uno specchietto per le allodole, poiché il nuovo imperatore ascolta questi appelli e poi li ignora senza remora alcuna.
Insomma Scholz, per utilizzare uno dei termini preferiti di Donald Trump, sta realizzando il suo decoupling (realizzato, però, a spese dei suoi partner e alleati europei).
Sintonia con la strategia cinese
Tutto ciò in piena sintonia con la strategia del Partito comunista cinese, che punta a indebolire la Ue e a staccarla dagli Stati Uniti. A Xi non sarà parso vero.
Proviamo a chiederci, a questo punto, che cosa sarebbe accaduto se fosse stata Giorgia Meloni a compiere una mossa simile. Facile immaginare l’immediata scomunica e l’ordine di fare un passo indietro. Nulla di tutto ciò è toccato a Scholz, a riprova del fatto che Bruxelles fa la voce grossa con i Paesi deboli e non osa imporre vincoli a quelli forti.
Mi sembra ovvio, a questo punto, che il destino dell’Unione è segnato. Non potrà più proporsi quale soggetto geopolitico autonomo. Unica salvezza è legarsi al carro Usa, in attesa di capire quali risultati usciranno dalle imminenti elezioni di midterm.
Michele Marsonet – Atlantico