Nasce ufficialmente il PdR. Via i montiani e i deputati legati a Napolitano. Nessuno spazio alle minoranze. In compenso il segretario dem imbarca ciellini. Come Alli, uomo di Formigoni in Lombardia. E suoi fedelissimi.
di Alessandro Da Rold – (LETTERA 43)
«Ora voglio proprio vederlo Andrea Orlando da solo che decide di non votare per un governo con Berlusconi..». L’esponente del Partito Democratico escluso dalle liste chiede l’anonimato per commentare le scelte del segretario Matteo Renzi sulle liste per le prossime elezioni politiche. E l’analisi non è molto diversa da quella che circola in queste ore anche al Nazareno: Renzi ha costruito la sua squadraccia di fedelissimi per evitare che nessuno sgarri nel caso in cui ci fosse la necessità di un accordo con il Cavaliere in un governo di larghe intese.
QUELL’IPOTESI CHE PIACE A TANTI. Al momento sono solo suggestioni, ipotesi a distanza di un mese dal verdetto elettorale. Ma è un quadro politico di cui si discute da mesi, che come ha detto il leader della Lega Matteo Salvini, sarebbe gradito all’Unione Europea. E perché no, un accordo tra Forza Italia e Pd potrebbe piacere anche al presidente della Repubblica Sergio Mattarella o all’establishment italiano, magari chissà con un presidente del Consiglio come Giuliano Amato.
FIORONI A RISCHIO E REALACCI SALTA. Di vero c’è che il leader del Pd ha cancellato ogni tipo di minoranza interna, colpa anche dei pochi voti e quindi dei pochi posti disponibili: a parte venti collegi tra Emilia Romagna e Toscana si rischia un po’ ovunque. Via gli orlandiani, salta pure Daniele Marantelli a Varese, ridotti i cosiddetti cattorenziani vicini a Graziano Delrio e Dario Franceschini, con l’esclusione di Angelo Rughetti e con persino Beppe Fioroni che rischia nella sua Viterbo. In pratica il risultato delle primarie legittima solo il vincitore, ovvero Renzi. Di più. Il leader dem fa saltare pure Ermete Realacci, amico di una vita dell’attuale presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e pure di un imprenditore come Chicco Testa: i tre amano giocare a tennis assieme pure con Francesco Rutelli.
Che ci sia malessere nel dietro le quinte del Partito Democratico lo spiega bene il ministro per lo Sviluppo Economico Carlo Calenda con un tweet: «Quale è il senso di non candidare gente seria e preparata, protagonista di tante battaglie importanti come De Vincenti, Nesi, Rughetti, Tinagli, Realacci, Manconi. Spero che nelle prossime ore ci sia un ravvedimento operoso. Farsi del male da soli sarebbe incomprensibile».
PIAZZA PULITA DEI MONTIANI. Ecco, manca pure Irene Tinagli, una cresciuta politicamente soprattutto nel think tank Italia Futura di Luca Cordero di Montezemolo che sfornò lo stesso Calenda. Ma soprattutto un’economista vicina anche a Mario Monti, al giro bocconiano che si prese il Paese nel 2011. Renzi non fa prigionieri. E costruisce così un gruppo parlamentare di fedelissimi, disposti soprattutto al Senato, dove c’è chi sostiene lo stesso segretario punti alla presidenza.
DALLA QUARTAPELLE ALL’EX TRONISTA MOR. Non solo. A Milano fuori dalla liste c’è Lia Quartapelle, nata nella filiera politica dei miglioristi, quell’area vicina a Gianni Cervetti e quindi all’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, con cui Renzi ha ormai chiuso i rapporti da tempo: al posto della Quartapelle ora c’è Mattia Mor, ex concorrente di Uomini e Donne o del Grande Fratello.
IL LANCIAFIAMME È ARRIVATO. I volti nuovi sono poi quelli di Tommaso Cerno, l’ormai ex condirettore di Repubblica o Francesca Barra, entrambi giornalisti celebri per le loro interviste negli scorsi anni. Resiste Sandra Zampa, storica portavoce di Romano Prodi, ma resta soprattutto la scelta di scontentare tutti, senza guardare in faccia nessuno.
L’UOMO DI FORMIGONI IN AIUTO DI GORI. Salta pure Rosario Crocetta in Sicilia, mentre tra Nord e Centro compare a sorpresa qualche esponente di Comunione e Liberazione, come Paolo Alli in Lombardia, storico uomo dell’ex governatore Roberto Formigoni: potrebbe dare un mano alla volata per Giorgio Gori alle regionali con l’ex dirigente Mediaset alle prese con alleanze proprio con la componente ciellina. Mentre in Toscana c’è Gabriele Toccafondi, nato politicamente in Forza Italia e vicino al ministro degli Esteri Angelino Alfano. A sorpresa in Lombardia c’è pure Gianfranco Librandi, anche lui ex area Monti, ex centrodestra.
È UFFICIALE: È NATO IL PDR. In pratica c’è chi fa notare in queste ore che Pier Luigi Bersani e Massimo D’Alema, la pattuglia dem uscita e poi confluita in Mdp -Liberi Uguali, avessero capito benissimo come sarebbero andate le cose in vista delle elezioni politiche. E in questa prospettiva la loro scelta è stata giusta, perché in questo modo potranno ritrovare spazio in parlamento sotto altre insegne. Il Pdr, il partito di Renzi, è ormai una realtà. Di ex Pci non se ne vede più neanche l’ombra, dell’area ex Dc rimangono in pochi. Ora sono tutti renziani di ferro. Sarà un caso ma anche Gianni Cuperlo ha preferito mollare un posto sicuro a Sassuolo: ci fare accordi con Berlusconi non ne ha voglia e di restare solo come Orlando neppure.