Negli anni cinquanta ottenne un grande risalto mediatico la figura dell’ “Avvocaticchio”, un mite personaggio professionalmente fallito della provincia trapanese, che si lasciò intimidire da Salvatore Giuliano ed accettò di nasconderlo nella propria abitazione di Castelvetrano durante la lunga latitanza, fino a quando, a causa del tradimento del cugino e braccio destro Gaspare Pisciotta, il leggendario bandito ribelle non venne ucciso in circostanze sempre rimaste misteriose. Il Colonnello Luca dei carabinieri cercò di attribuirsene mediaticamente il merito, ma più probabilmente l’esecuzione era opera del parente che lo aveva tradito e che, infatti, dopo qualche tempo, fu suicidato in carcere. Ho ripensato a questa figura dell’”avvocaticchio”, una sorta di macchietta, guardando in questi giorni le immagini di un altrettanto modesto personaggio della medesima provincia, apparso sovente in televisione con lo sguardo sperduto di chi è consapevole di una sola cosa: quella di non essere all’altezza del difficile compito affidatogli.
Mi riferisco al ministro della Giustizia Bonafede, che, alle prese con qualcosa decisamente più grande di lui, la riforma della Giustizia, (che imporrebbe a quel posto un personaggio di ben altra statura) ha offerto ai telespettatori l’immagine plastica della sua inadeguatezza, cercando di far credere che un modesto provvedimento emergenziale potesse assurgere al rango di riforma di un settore cruciale della vita nazionale, ormai non più rinviabile per le condizioni disastrose in cui versa e rifiutando, allo stesso tempo, le proposte degli alleati di Governo, che insistono almeno per la separazione delle carriere tra PM e Giudici. L’avvocaticchio non potrà che prendere atto del fallimento della sua imprudente iniziativa e cercare di nascondersi come una lumaca nel proprio guscio, quello del conforto degli oltranzisti pentastellati, tuttavia, in numero sempre decrescente. La sovraesposizione del povero Bonafede appare quindi come l’ultimo, anche se forse non ancora quello finale, degli errori del leader, ormai dimezzato, Luigi Di Maio e dello stesso M5S, quale partito di Governo.
Dopo quest’ultimo scontro e l’inevitabile accantonamento della Riforma della Giustizia, nonostante sia certamente il più grave ed urgente problema dell’intero Paese, la coalizione di maggioranza si avvia al suo epilogo con la fine di un Governo sempre più litigioso ed inconcludente, che di fatto galleggia da oltre sette od otto mesi e non potrà materialmente proseguire oltre l’estate il suo incerto cammino.
di Stefano de Luca – Rivoluzione Liberale