L’aria da superiorità morale del Pd è sopravvissuta anche alla débâcle elettorale: evocano derive autoritarie dimenticando il loro dispotismo pandemico
Chi si aspettava un minimo di autocritica nel campo progressista dopo la pesante débâcle di domenica scorsa è rimasto ampiamente deluso. In effetti, quell’aria di superiorità, da primi della classe, che è stata una delle ragioni principali della sconfitta del campo (prima largo e poi assai ristretto) di Enrico Letta è sopravvissuta anche al severo giudizio degli elettori.
Già nella lunga notte elettorale, Debora Serracchiani aveva tentato di sminuire la portata della storica batosta: “Siamo la prima forza d’opposizione”. Una magra consolazione per chi aveva iniziato la campagna con gli occhi della tigre e poi si è ritrovato col pulmino scarico.
La conferenza stampa del giorno successivo di Enrico Letta è stata più o meno sulla falsariga. In più, il segretario del Pd si è scagliato contro quelli che gli avrebbero sabotato il campo largo, in particolare Carlo Calenda, accusato di “fuoco amico”.
L’ipocrisia sul Rosatellum
A Di Martedì, dove la stessa Serracchiani (pur riconoscendo i costi in termini di consenso) ha rivendicato le dure norme sanitarie dell’era pandemica. E si è rivisto pure il ministro della salute Roberto Speranza, che di quelle norme è il simbolo, censurare la legge elettorale vigente definendola “una porcheria” perché non consente di scegliere i candidati e trasforma – a suo dire – delle minoranze in ampie maggioranze.
Peccato che nessuno tra gli ospiti in studio gli abbia fatto notare che sia stato proprio questo meccanismo a permettergli di essere rieletto nelle liste proporzionali del collegio napoletano in quota Pd. Tanto è vero che, nella Campania del presidente De Luca, il centrosinistra non ha ottenuto alcun eletto nei collegi uninominali, dovendosi accontentare di un magro bottino: 3 senatori (tra cui il ministro Franceschini) e 4 deputati (tra cui lo stesso Speranza e il figlio di De Luca).
Ecco perché sarebbe stato rischioso correre nell’uninominale dove, per esempio, è caduto un altro ministro, Luigi Di Maio, che è stato escluso dal prossimo Parlamento.
Tuttavia, non è proprio un atteggiamento coerente quello di chi censura il Rosatellum ma poi evita di presentarsi nei collegi assegnati con il meccanismo maggioritario per evitare una possibile bocciatura. Né si può criticare il fatto che si tratti di un sistema ibrido perché è lo stesso per tutti e nessuno si è preoccupato di modificarlo prima delle elezioni.
Evidentemente, non coalizzandosi o scegliendo alleati deboli, si va incontro a una sicura disfatta. Altro che paragonare confusamente il Pd al capitano Achab (che poi si trasforma in Moby Dick) come nella versione dello scrittore Stefano Massini a Piazzapulita. Anche perché, restando nella metafora marinara, questa campagna per la compagine progressista si è rivelata catastrofica come la traversata del Titanic.
Il dispotismo pandemico
Ma, d’altronde, evitare l’analisi è un modo per non fare i conti con la realtà e tentare di autoassolversi. In apertura di programma, lo stesso Corrado Formigli si è cimentato in un editoriale un po’ malinconico nel quale ha chiesto ai vincitori delle elezioni di rispettare le persone che non li hanno votati e i giornalisti che hanno una linea contraria a quella del futuro governo.
Sfugge a Formigli che nell’era pandemica si è avuto scarso rispetto per chi ha deciso legittimamente di non allinearsi all’integralismo sanitario, subendo l’esclusione dalla vita sociale e, in alcuni casi, la perdita dello stipendio. In quella circostanza, il maistream ha appoggiato ogni decisione mostrandosi poco autonomo rispetto alle assai discutibili decisioni governative.
Insomma, la narrazione che preconizza derive autoritarie, conventio ad excludendum o la riproposizione di nostalgiche ideologie passate non può funzionare perché il dispotismo è stato un tratto che ha caratterizzato un passato piuttosto recente, ancora vivo nella memoria degli italiani.
Infatti, è difficile dimenticare quanto di incredibile si è verificato da marzo 2020 in avanti. Ecco perché almeno l’esito infausto delle elezioni avrebbe dovuto suggerire un cambio di rotta che, invece, risulta del tutto assente. Che, poi, a volerla dire tutta, più di Melville, può venire in soccorso James Ellroy quando scrive in Perfidia che l’arroganza conduce verso orridi errori. Nonché verso dolorose e memorabili sconfitte.
Gianluca Spera – Atlantico