‘Ronzulli Kaput’, la rivoluzione in Forza Italia mentre, anche nel Pd, la situazione non è rosea
Metti, una sera, a cena due rampolli preoccupati di salvare il salvabile dell’impero costruito dal genitore; una quasi moglie silente ma non indifferente ed assente; una volpe della politica che fa più politica di un ministro, pur se non è mai stato in vita sua parlamentare… Metti, insomma, una sera a cena Marina e Piersilvio, figli di primo letto di Silvio Berlusconi; Marta Fascina, di lui compagna, quasi sposata e attenta, vigile, premurosa presenza; infine Gianni Letta, da sempre concavo e convesso a seconda delle situazioni: pragmatico e al tempo stesso fedele, insuperabile nell’arte del silenzio e della parola sussurrata al momento opportuno. Così democristiano nei modi e nella concezione delle cose della vita che pur essendo tra quanti hanno lavorato per il drastico cambio di rotta, ha raccomandato di non calcare troppo la mano: se Licia Ronzulliconserva la carica di presidente dei senatori di Forza Italia, lo si deve a lui.
I magnifici quattro, a prescindere dalla cena, che può esserci stata solo nella immaginifica descrizione dei boatos che circolano ad Arcore, hanno – questo è sicuro – ridisegnato la “geografia” interna di Forza Italia. La fino a ieri potente e a detta di tanti prepotente Ronzulli ne esce brutalmente ridimensionata, nei fatti sconfitta. Non è più la zarina di Arcore, fuori dal cerchio magico berlusconiano. Ha dovuto cedere la carica di coordinatrice del partito in Lombardia. Al suo posto Alessandro Sorte, uno dei parlamentari più ascoltati da Fascina. Il “segnale” di un’inversione di rotta: il partito di Berlusconi ha sotterrato l’ascia di guerra contro Giorgia Meloni. Finiti i tempi delle punzecchiature, delle polemiche, dei distinguo. Gli “affari di famiglia” innanzitutto; e per il bene di questi “affari” stop a ogni sorta di polemica. La linea soft dei Berlusconi brothers, e dell’ala pragmatica del clan prevale. Una “linea” che fa tornare il sorriso al ministro degli Esteri Antonio Tajani, da sempre sostenitore di una politica “morbida”, esponente dell’ala “governista” (per inciso, il suo braccio destro Paolo Barelli guida il gruppo forzista a Montecitorio, al posto del “ronzulliano” Alessandro Cattaneo). Inverte il famoso detto gattopardesco, Tajani, che assicura: “Questi cambiamenti non comportano nulla né per il governo né per Forza Italia”; mastica amaro Ronzulli, per la quale questo “non cambiamento” cambiano in realtà tutto. Con l’aggravante che il tutto si è consumato a sua insaputa. Ha appreso del cambiamento appena qualche minuto prima della diffusione di un comunicato che annunciava il ribaltone.
Ora si attendono nuovi “terremoti”, l’annunciato avvento dei cosiddetti “Fascina boys”, come il deputato bergamasco Stefano Benigni e il sottosegretario alle Infrastrutture e Trasporti Tullio Ferrante, fedelissimi di Fascina (Ferrante è stato un suo compagno di scuola). Campana a morto per i “ronzulliani”, a cominciare da Cattaneo e Giorgio Mulé. Resteranno nel partito?
Più di tutti, soddisfatta Giorgia Meloni, che ha più spine di un porcospino, e almeno una fastidiosa, logorante, spina nel fianco non l’ha più. Ha buona memoria, la leader dei Fratelli d’Italia: quando la additavano come “l’ingrata”, quella che “pur dovendogli tutto, a Berlusconi non gli riconosceva nulla”. Un bel catalogo di definizioni: “donna arrogante”, “a volte prepotente”, “gonfia di risentimenti”… Ce n’era per tutti. I ministri di Forza Italia accusati di genuflettersi in continuazione davanti a Meloni, Tajani dipinto come un traditore… Dopo lo schiaffo supremo (il NO di Meloni a Ronzulli ministro), l’ordine di una guerriglia senza quartiere, condotta da Mulè, Cattaneo, la stessa Ronzulli…Fino al contrordine: “Basta polemiche con il governo”. E avanti con le defenestrazioni.
Partito Democratico: non siamo al terremoto, ma a profonde scosse di assestamento. La segretaria del Pd, Elly Schlein, alla riunione dei deputati e dei senatori convocata per oggi, a quanto risulta, appare intenzionata a proporre i nomi di Chiara Braga (area Dario Franceschini) e Francesco Boccia come capigruppo di Camera e Senato. Schlein insomma tira dritto, e pazienza se ci saranno candidature alternative o astensioni. “Così si smentiscono le offerte di gestione unitaria, serve un quadro complessivo”, insorgono i seguaci del presidente Stefano Bonaccini, che “in missione” in Texas, al momento invita alla cautela. Un vorticoso giro di consultazioni. Bonaccini riunisce su zoom la sua area, chiede un mandato per trattare ancora nel nome di “unità e collaborazione” equilibrata; Schlein “risponde” chiamando a raccolta quanti non l’hanno sostenuta (Lorenzo Guerini, Graziano Delrio, Matteo Orfini, Simona Malpezzi… Prove di avvicinamento e “spartizione” del potere “interno” (posti in segreteria?). Presto per dirlo. Per ora siamo alle schermaglie: “L’importante è lo schema politico. Se siamo in un quadro di gestione unitaria, bisognerà costruire una prospettiva da cui derivino gli equilibri interni. Se invece poi si opterà per uno schema di maggioranza, noi daremo una mano come minoranza”.
La “prudenza” e la cautela invocata da Bonaccinipossono significare che comunque una sorta di patto tra segretaria e presidente sia in qualche modo già stato chiuso: “Stefano non è un uomo di rottura”. Presto i due contendenti dovranno scoprire il loro gioco e mostrare le carte che hanno in mano.
Per tutti vale la metafora usata giorni fa dal presidente della Repubblica. Sergio Mattarella, usa l’immagine della “stanga” insieme al nome di Alcide De Gasperi: richiamo storico, quando lo statista democristiano, nel 1949 si rivolge alla minoranza guidata da Giuseppe Dossetti e la invita a uscire dall’arroccamento, lavorare per il bene dell’Italia. Amintore Fanfani, giovane “dossettiano” quell’invito non se lo fa ripetere: comprende che De Gasperi stava apre la DC alla nuova generazione, in cambio di quel contributo collettivo c’è una nuova gestione del potere interno. Ecco cosa intende Mattarella con quel riferimento a mettersi “alla stanga”: porsi in prima linea al momento del passaggio delle consegne tra la vecchia guardia degasperiana e le giovani leve. Ora c’è da rafforzare un Paese, utilizzare al meglio i fondi europei del Pnrr per lo sviluppo collettivo e non dispersi nei mille rigagnoli dell’inefficienza politico-burocratica.
Discorso rivolto sia alla maggioranza che all’opposizione, a Meloni e Schlein. La questione dei ritardi del Pnrr. Il richiamo del Quirinale attira l’attenzione su questo snodo cruciale. Verrà ascoltato, compreso, raccolto?
Valter Vecellio – L’Indro