Non il “carbone e l’acciaio”, bensì l’informazione e la conoscenza rappresentano oggi le prevalenti materie prime dei processi produttivi. Ci inoltriamo – o meglio siamo attratti, come se ne fossimo risucchiati – nell’età della conoscenza.
Si tratta, dunque, di investire sul “valore umano”. La scuola, l’educazione, le giovani generazioni. La “scuola” intesa come l’intera articolata filiera degli studi che, per quanto differenziati, devono, in ogni ordine e grado dell’istruzione, dalle scuole tecniche alle facoltà accademiche più sofisticate, insegnare, sollecitare, promuovere, anzitutto, spirito critico ed autonomia di giudizio, cioè formare persone “libere” anzitutto, interiormente libere. In caso contrario, ci avvieremmo verso un mondo popolato non tanto da robot umanoidi, ma piuttosto da umani robotizzati.
La capacità di giudicare in proprio, senza subalternità di comodo al pensiero imperante, inoltrandosi criticamente nella giungla degli argomenti e delle opzioni in campo, rappresenta fin d’ora il fattore decisivo di inclusione sociale.
Tale capacità, peraltro, non si risolve in una mera attitudine intellettualistica, bensì evoca ed esige quello spazio ideale e morale di libertà interiore in cui quest’ultima si pone, prima che come diritto, come “dovere”, anzitutto nei confronti di sé stessi. E qui dovremmo riflettere su quel di più che la fede religiosa – altro che oscurantismo! – offre a tale proposito. Insomma, dobbiamo investire sull’educazione come fucina di uomini liberi.
In caso contrario, se ci lasciassimo impastoiare nella maglie vischiose del conformismo e del pensiero unico, grigio ed accomodante, società complesse, come la nostra, sarebbero destinate ad afflosciarsi su stesse come un pallone sgonfio. Del resto, è in questa direzione – incontro ad un incremento dell’interiorità, della coscienza e della consapevolezza di sé, piuttosto che verso i potenziamenti del cosiddetto “transumanesimo” – che deve incamminarsi quella lenta, ma continua evoluzione dell’umanità che per un verso accumula sempre nuove conquiste, per altro verso le deve riguadagnare da capo ad ogni tornante della storia.
Qualificare l’università e gli studi superiori, investire sul potenziamento della ricerca, cominciando dalla ricerca di base, là dove nascono pensieri nuovi, prospettive ed indirizzi inediti, non solo sulla ricerca applicata, funzionale a quell’innovazione di prodotto su cui e’ bene investa risorse proprie anzitutto il mondo dell’impresa. Evitando di cadere in una sindrome elitaria che, anche sul piano della conoscenza e della dignità del lavoro scavi, come già avviene purtroppo sul piano della condizione economica e sociale, solchi che si rivelino insuperabili, fino a lacerare il tessuto civile, disaggregandolo per aree che parlano lingue differenti e non sanno più dialogare.
E’, dunque,necessario investire fortemente anche sui gradi intermedi dell’istruzione. Il filosofo o lo scienziato ed il più modesto prestatore d’opera esercitano funzioni sociali differenziate, ma gli uni e l’altro hanno lo stesso diritto ad essere sicuri della loro pur modesta professionalità e ad esigerne paritariamente pieno rispetto. Occorre una scuola sicura sul piano degli indirizzi curricolari, ma che sia capace di risvegliare la singolare ed irripetibile genialità di ciascuno.
Capita talvolta di osservare, già a livello della scuola dell’obbligo, come ragazzini non particolarmente brillanti e motivati nelle tradizionali materie di studio, prevalgano sui primi della classe in quelle attività complementari e libere – ad esempio, dal disegno alla musica – in cui una inclinazione particolare prende forma al di fuori dell’ alveo di un insegnamento standardizzato.
Per questo, occorre articolare il processo educativo offrendo ai più giovani – in modo particolare nella varietà del linguaggio dell’arte, secondo le sue molteplici declinazioni – un ventaglio di opportunità espressive che favoriscano la maturazione e lo sviluppo delle attitudini di cui ciascuno, nella sua irripetibile singolarità, è portatore. Anche questo significa porre la centralità della persona, non in termini retorici o di mero principio, ma come fattore che orienta gli investimenti che il Paese è in grado di mettere in campo.
di Domenico Galbiati