Forse il paragone è improprio, ma immaginiamo se un leader del fu Pci, di fronte a una sconfitta storica come quella sancita da queste elezioni (rispetto alle europee del 2014 all’appello del Pd mancano sei milioni di voti), avesse commentato come ha fatto ieri Renzi dicendo «la ruota gira». Appunto, non è immaginabile. Specialmente se la ruota è bucata.
E tuttavia il paragone con la classe dirigente del Pci non è poi così peregrino perché ad accostare Pci e Pd ci hanno pensato in questi giorni anche gli istituti di sondaggio nell’analizzare il travaso di voti, nel raccontare il grande esodo provocato dagli anni della segreteria renziana. Il 35% di chi nel 1987 (quando i governi duravano anche 100 giorni, ai tempi di Fanfani e di Goria) votava Pci, oggi ha votato 5Stelle. E quelli che, sempre in quell’anno, votavano Dc, oggi si sono invece rivolti a Forza Italia per il 29% (lo ricorda la Swg).
Renzi lascia la segreteria e un partito stremato ma non abbandona l’idea di essere ancora lui la carta vincente, di essere colui che possiede la giusta linea e, proprio per questo, punta tutta la posta che ha davanti sull’ingovernabilità, sull’impossibilità di formare una maggioranza tra pentastellati e centrodestra, un esito in qualche modo precostituito, con una legge elettorale dell’ultimo minuto, il Rosatellum, votata da lega e Forza italia per far fuori dai giochi il M5Stelle.
Purtroppo il diavolo non ha pensato al coperchio e la sconfitta del Pd ha rovesciato la pentola.
Come un criceto nella ruota, Renzi se la prende un po’ con tutti, dentro e fuori il partito. Ce l’ha con quei candidati che non hanno neanche proposto il voto sul simbolo del Pd «ma solo sulle loro persone» (leggi Gentiloni).
Continua ad accusare il partito di aver perso tempo e energie con gli scissionisti.
Non gli va proprio giù che la meravigliosa idea della riforma costituzionale sia stata rispedita al mittente da una valanga di No.
E ripete la storia della panacea delle elezioni anticipate negate perché il presidente Mattarella non ha concesso l’interruzione della legislatura dopo la batosta referendaria.
Come è evidente si tratta di armi ormai spuntate, del resto non potrebbe essere diversamente, la botta micidiale subita da chi si era messo da solo il cappello del grande leader europeo, può annebbiare la vista. Così Renzi chiama tutto il partito all’opposizione perché, dice, con i 5Stelle non ci può essere accordo su nulla.
Ma quando elenca i punti salienti su cui giocarsi la rivincita cita “i valori” (forse immaginando l’uguaglianza declinata da Marchionne), “la democrazia interna” (magari testimoniata dall’uomo solo al comando), i vaccini (praticamente Lorenzin santa subito), l’Europa (ovvero i salti mortali di Padoan per coprire i bonus e il pugno di Minniti contro i migranti).
Ma bisogna essere fiduciosi perché il «futuro prima o poi torna», riflette l’ex segretario, e procedendo verso questo sol dell’avvenire non si fa neppure scrupolo di chiamare in causa un ragazzo malato di Sla che lo esorta ad andare avanti e a ritirare le dimissioni.
Il senatore di Firenze lo vuole rassicurare «io non mollo». Vista la situazione drammatica, più che una promessa sembra una minaccia.
di Norma Rangeri – Il Manifesto