Referendum, amministrative, legge elettorale. Alla casta dell’anti-casta capeggiata da Di Maio e dal M5S, Zingaretti in ogni caso pagherà un prezzo altissimo
Il problema è tutto del Partito Democratico, per Nicola Zingaretti non sarà facile uscirne in modo onorevole. Il 20-21 settembre rischia di essere la classica slavina che si trasforma in una valanga dagli effetti imprevedibili. Già ora una parte del partito lo ‘processa’. Fra meno di un mese i velati ‘sussurri’, si trasformeranno in fragorose grida sotto forma di pesanti, implacabili j’accuse.
A Zingaretti si rimprovera una cedevolezza nei confronti del Movimento 5 Stelle senza aver ottenuto alcuna seria contropartita.
Dopo aver votato tre volte NO alla ‘riforma’ che prevede un taglio lineare e più che discutibile sotto il profilo costituzionale di deputati e senatori, cedendo ai desiderata di Luigi Di Maio e i suoi, il PD ha improvvisamente deciso per il SI, in cambio di una promessa vaga di una vaga riforma. Vanamente, ora, Zingaretti chiede che i patti siano rispettati. Ha buon gioco Di Maio che sorridere beffardo. A Zingaretti manda a dire che non è al Movimento 5 Stelle che deve dirlo, piuttosto a Matteo Renzi: discuti con Italia Viva, con Maria Elena Boschi ed Ettore Rosato…, è il mantra di Di Maio: sono loro che bloccano la riforma elettorale, sono loro che mettono i bastoni tra le ruote…
Zingaretti non ha previsto quello che invece aveva il dovere di prevedere: che l’operazione politica di Renzi è sostanzialmente fallita, non riesce ad aggregare un agognato (ma chissà se esistente) ‘centro’ che sia capace di coagulare i moderati di Forza Italia, brandelli di mondo cattolico, liberali in senso lato, socialisti senza casa. Italia Viva -è uno dei pochi dati su cui concordano tutti i sondaggisti- è l’ennesimo partitino frutto di una scissione costruita a tavolino e senza reale seguito, e attorno a sé non aggrega più del 2-3 per cento di elettorato. Stante così le cose, la riforma elettorale voluta da Zingaretti, con uno ‘sbarramento’ del 5 per cento, è un pericolo mortale per la formazione di Renzi: sa bene che superare quella soglia è un sogno irrealizzabile; anche perché nello stesso vivaio pescano Azione di Carlo Calenda e Più Europa di Emma Bonino.
Ovvio che Renzi, alla disperata, giochi l’unica carta che gli resta: quella dell’eterno guastatore. Al referendum nessuna indicazione precisa; chi fa riferimento al suo movimento voterà come meglio crede. Alle amministrative dà un sostanzioso contributo alla sconfitta del centro-sinistra.
In Veneto non c’è partita: l’uscente Luca Zaia stravincerà, di fatto sarà, all’interno della Lega, un serio contraltare a Matteo Salvini. In Liguria ha ottime possibilità l’uscente Giovanni Toti. Il centro-destra ha ottime possibilità anche in Puglia e nelle Marche, dal momento che gli avversari si presentano divisi, e divisi intendono colpire. Faranno la fine delle foglie del carciofo. La Campania non dovrebbe riservare sorprese: Vincenzo De Luca dovrebbe essere riconfermato. La Toscana è un’incognita: un tempo feudo ‘rosso’, oggi potrebbe anche essere espugnato dalla candidata leghista. Sarebbe uno smacco mortale per Zingaretti.
Il centro-destra canta vittoria per i risultati delle amministrative; il Movimento 5 Stelle ‘resuscita’ grazie alla vittoria dei SI. Zingaretti, già ora fragorosamente contestato all’interno del partito, ne uscirebbe con le ossa rotte. Già ora in tanti -a cominciare dai sindaci di Bergamo e Firenze, Giorgio Gori e Dario Nardella- lo attendono al varco. Se lo scenario appena abbozzato dovesse realizzarsi, la slavina si trasformerebbe in valanga e Zingaretti ne sarebbe travolto. In mezzo a tutto questo trambusto, addio legge elettorale; e nel prevedibile sostanzioso rimescolamento di carte all’interno del PD, chissà, si potrebbe perfino pensare a un ritorno di Renzi nel Partito; in molti lo attendono a braccia aperte.
A Zingaretti ora non restano che un paio di mosse comunque disperate: denunciare il ‘tradimento’ dei patti; e così poter in qualche modo‘giustificare’ un disimpegno per quel che riguarda il referendum.
La scadenza referendaria, al di là del quesito specifico, sempre più è pretesto e occasione per ‘calcoli’ e fantasie politiciste. Nel centro-destra, per esempio, ci si interroga se non sia più opportuno votare NO.
Vittoria alle amministrative, sconfitta al referendum, per l’Esecutivo guidato da Giuseppe Conte si annunciano tempi grami. Contribuire alla vittoria dei SI, del resto non serve a tamponare la ‘percezione’ di una vittoria grillina e di un ritorno in pompa magna di Di Maio.
C’è poi un aspetto, al momento valutato da pochi analisti e studiosi, e che pure è destinato a incidere: il taglio dei parlamentari non garantisce di per sé una migliore qualità degli eletti; e in quanto ai risparmi, a parte la meschinità di una concezione mercantile delle istituzioni e in generale della democrazia, chi ci guadagnerebbe, in termini di seggi, è solamente Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. Tutti gli altri partiti, Lega e PD in testa, vedrebbero ridotti i loro parlamentari; i ‘minori’ rischierebbero di scomparire del tutto.
Nel PD, tardivamente, questi rischi li si comincia a paventare. Non sono solo ‘padri’ nobili del centro-sinistra come Rino Formica, Emanuele Macaluso, Romano Prodi, ad annunciare il loro NO. Ora scendono in campo anche dirigenti del calibro Gianni Cuperlo, Matteo Orfini; personaggi come Laura Boldrini, Anna Finocchiaro, Livia Turco, Luciano Violante; affiancati da intellettuali come Alberto Asor Rosa, Massimo Cacciari, Biagio De Giovanni, Mario Tronti, Nadia Urbinati…
Alla casta dell’anti-casta capeggiata da Di Maio e dal M5S, Zingaretti in ogni caso pagherà un prezzo altissimo. L’interessato, per ora smentisce e si schernisce; ma a bordo campo si intravede l’ombra del Presidente dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini. Alla prossima direzione del PD Zingaretti dovrà trovare il modo di quadrare la sfera e rendere digeribile l’immasticabile. La sua è una vera ‘mission impossible’.
di Valter Vecellio