Il riconteggio delle schede sarebbe agli inizi e già ci sarebbero novità, se è vero che Biden non è più il vincitore. Ciò significa che le accuse di brogli elettorali lanciate da Trump non sono campate in aria, come ha certificato il Ministero della Giustizia americano. Tutto piano piano sta tornando in discussione

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C’è un filo spesso esattamente 37.469 voti che collega Joe Biden alla Casa Bianca. Sono il numero di persone che in Pennsylvania lo hanno preferito a Donald Trump, permettendogli di aggiudicarsi lo Stato e con i suoi 20 grandi elettori anche la presidenza. Si tratta di una percentuale risicatissima – 49.64% del voto contro il 49.09% del presidente uscente -, ma sufficiente per chiamarlo Signor Presidente. Almeno per i media americani che per primi  hanno annunciato la sua vittoria e per una parte dei leader mondiali (tra cui l’Ue) che l’hanno celebrata. Ma non per Trump e la sua squadra elettorale.

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Poco dopo l’annuncio della vittoria di Biden, l’ex sindaco di New York nonché avvocato di Trump, Rudy Giuliani, ha tenuto una conferenza stampa in cui ribadiva la linea di Trump che da giorni grida alla truffa. Giuliani ha detto ufficialmente che il presidente non intende ammettere la sconfitta e che invece si prepara a intentare diverse azioni legali per denunciare «la privazione uniforme del diritto di ispezione». Al suo fianco sul palco c’erano tre persone che sono pronte a giurare di non aver avuto modo di ispezionare lo spoglio dei voti in Pennsylvania, come invece sarebbe stato loro diritto fare. Se il margine di vittoria di Biden dovesse essere inferiore o pari allo 0,5% dei voti, scatterà automaticamente il riconteggio entro poche ore, il 12 novembre, che dovrà concludersi non oltre il giorno 24 dello stesso mese.

La situazione è dunque ancora fluida e, come detto sopra, non tutti i leader e capi di Stato hanno riconosciuto Biden come nuovo presidente Usa. E’ il segnale preciso che le accuse lanciate da Trump su possibili brogli elettorali non sono così peregrine. E che Paesi come Cina e Russia, per citarne solo due, hanno deciso di aspettare l’esito del riconteggio.

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Questo scenario, oltre alla Pennsylvania, potrebbe verificarsi anche in altri stati, specialmente laddove il presidente uscente ha visto sfumare le possibilità di rielezione per via dei voti postali. Trump ha ribadito di voler procedere con azioni legali nei confronti degli scrutatori di molti seggi che a parer suo avrebbero impedito agli osservatori repubblicani di assistere al conteggio delle schede.

Intanto il ministro della Giustizia degli Stati Uniti, William Barr,  ha autorizzato tutti i procuratori federali del dipartimento ad avviare indagini sulle accuse di presunte frodi elettorali che sarebbero state commesse durante lo scrutinio dei voti del novembre. L’Attorney general ha spiegato che indagini di questo tipo possono essere sempre condotte quando ci sono accuse chiare e apparentemente credibili di presunte irregolarità che “potrebbero potenzialmente incidere sul risultato”.

Dunque non è proprio una cosa da niente. Anzi, non è da escludere che dalle parti dello staff di Biden qualcuno stia già pensando alle contromosse. E che non si tratti una cosa da niente lo si desume dall’atteggiamento assunto dal procuratore responsabile dei reati elettorali al dipartimento di Giustizia americano che si è dimesso dopo il via libera alle indagini da parte di Barr.

A questo punto, se il ministro Barr sostiene che ci potrebbero essere accuse chiare e apparentemente credibili di presunte irregolarità che potrebbero potenzialmente incidere sul risultato, indagare diventa un dovere. Senza se e senza ma. In ballo c’è la presidenza più importante del pianeta.