La quotidiana ignorata emergenza ambientale, la politica dello scaricabarile e la politica ridotta a immagine. L’Italia è precipitata in una crisi di sistema che riguarda tutti i comparti dello Stato
Ormai siamo a una media di un disastro al giorno; se l’esperienza insegna qualcosa (e non è detto), negli anni a venire sarà anche peggio. Negli undici mesi del 2022, segnato da un alternarsi di lunghe siccità e improvvise alluvioni, si sono censiti oltre 250 fenomeni meteorologici classificati come ‘estremi‘. Il 27 per cento in più rispetto al 2021, assicurano gli esperti. ‘Il clima è cambiato‘, è il titolo di un report di Legambiente, una mappatura del rischio climatico nel ‘bel Paese’. Più in generale: il numero degli eventi ‘estremi’ cresce di anno in anno. Nel periodo che va dal 2010 al novembre 2021 si registrano 1.118 eventi ‘estremi‘, in 602 comuni.
Dettagliato, preciso: regione per regione un elenco completo di violente grandinate, devastanti trombe d’aria, incalcolabili danni a un patrimonio storico millenario. Oltre, naturalmente, i morti; i feriti. Nella sola Roma ben 66 eventi in tredici anni; ma in tutta Italia, dalle Alpi alla Sicilia. Nella sola città di Bari una quarantina di ‘eventi’, a Milano una trentina, comprese le esondazioni dei fiumi Lambro e Seveso. Ma colpite anche Genova, Napoli, Palermo, la costa marchigiana, Cuneo, la costa romagnola, la Sicilia, Agrigento, il ponente ligure, il Salento, le coste toscane, la Sardegna…Emblematico quello che è accaduto in Sicilia: a Floridia l’11 agosto si raggiunge il record europeo di 48,8 gradi centigradi; nel catanese e nel siracusano, in 48 ore, si registra una quantità di pioggia pari a un terzo di quella annuale.
Da qualche parte, a palazzo Chigi e al Ministero dell’Ambiente, giacciono direttive e progetti relativi al Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici. Fanno polvere dal 2018, da quando presidente del Consiglio era Paolo Gentiloni e ministro dell’Ambiente era Gian Luca Galletti; c‘è altro a cui pensare.
Naturalmente non è che un Piano, pur se operativo, imbriglia la natura quando si scatena; forse, però, i danni sarebbero limitati. Forse non si sarebbe arrivati a spendere, negli ultimi nove anni, qualcosa come 13,3 miliardi di euro per emergenze meteoclimatiche; come si dice? Prevenire è meglio che curare; non si previene. In quanto alla cura, si incerotta alla bell’è meglio. Di sicuro se si fosse varato il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici almeno si disporrebbe di uno strumento in più per valutare i rischi che si corrono a vivere in questi anni di caos climatico; magari, perfino, ridurre le vittime, contenere i danni.
Vai a sapere perché questo Piano ancora non è operativo. Forse perché si guadagna di più con i disastri e le ‘emergenze’. Pensiero cattivo, pessimo. Ma come si fa a non farlo, a non averlo? Eppure tutto indica che si dovrebbe far tesoro dell’ammonimento (ma anche atto d’accusa) di Sherry Rehman, Ministro del cambiamento climatico del Pakistan, al recente vertice ONU sul clima: riferendosi alla siccità e alle inondazioni che la scorsa estate hanno fatto restare senza casa 30 milioni di persone, alla conferenza Onu è stato molto chiaro: «Quello che è successo in Pakistan non rimarrà in Pakistan. La distopia che ha bussato alla nostra porta si manifesterà ovunque». A parole sono tutti d’accordo: occorre evitare che la temperatura salga di più di 1,5-2 gradi. Farlo significherebbe avere anche da noi qualche giorno in meno di siccità e di alluvioni.
E invece, ecco Ischia. Abusivismo edilizio? Ma certo. Isola che frana con un colpo di tosse? Sicuro. Il cambiamento climatico ci mette del suo? E’ così. Però, anche un poco di storia aiuta: nel 1910 le cronache del tempo raccontano di 15 morti tra Casamicciola e Lacco Ameno. Un salto di una settantina d’anni, e nel 1978 le vittime sulla spiaggia dei Maronti sono cinque. Negli anni 2000 almeno tre casi di grave dissesto idrogeologico: nel 2006 un costone del monte Vezzi, frazione Pilastri, investe una casa abitata da sei persone; muoiono in quattro, padre e tre figlie; sopravvive la madre e una nipotina. Nove anni dopo, il 10 di novembre: piove a dirotto. Il terreno è gonfio d’acqua, il monte Epomeo frana dopo le otto del mattino in località Tresca, sopra il porto di Casamicciola; muore una donna, Anna De Felice, la madre si salva a stento. Eccoci al 2015: una frana nella zona dell’Olmitello, comune di Barano d’Ischia, uccide un ristoratore.
Più in generale: il numero degli eventi ‘estremi” cresce di anno in anno. Nel periodo che va dal 2010 al novembre 2021 si registrano 1.118 eventi ‘estremi’, in 602 comuni.
Questo è il contesto in cui è maturata l’ennesima tragedia, quella di Ischia l’altro giorno.
E si assiste a un teatrino deprimente: tragedie che si consumano anche per miopie e indifferenze politiche; poi la gara a chi è più lesto a scaricare responsabilità e indicare l’avversario politico come possibile colpevole. Così a Casamicciola. Ancora non si sono neppure fatti i funerali delle vittime ed è già scarica-barile. Si prenda Giuseppe Conte: sua l’ultima procedura di condono, nel 2018, per sveltire l’attribuzione dei fondi diede un binario preferenziale a tutte le richieste di sanatoria sull’isola (27mila su 62mila abitanti); si allargarono le già indulgenti maglie della legge del 1985: molti immobili che erano stati esclusi, ne poterono beneficiare. Conte, ospite della trasmissione condotta da Lucia Annunziata, nega ogni responsabilità: «Le dico che non era affatto un condono», dice il leader dei 5 stelle. E sì che il titolo del provvedimento recita: ‘Definizione delle procedure di condono’. Come dare torto a un imbufalito Carlo Calenda: «Prende in giro gli italiani»? Come dare torto a un beffardo Matteo Renzi: «Ha pure chiuso l’Unità di missione sul dissesto, non si vergogna?».
Conte ci prova, in questa missione impossibile: «Ci trovavamo in un blocco totale, introducemmo quell’articolo per velocizzare, era una procedura di semplificazione». Comunque l’importante è scaricare la responsabilità: colpa dei governi precedenti: «C’erano già tre leggi dei governi precedenti, noi abbiamo solo detto velocizziamo». Solo detto.
Quello era non solo il governo grillino. C’era anche la Lega. Che dice oggi Matteo Salvini? Su quel condono che non è un condono, ma è un condono «c’era una richiesta dei sindaci». Come si faceva a dire di no?
Ma si può ancora fare qualcosa, posto che lo si voglia fare? Sì, si può. Aldo Loris Rossi, dice nulla questo nome? Docente di Progettazione Architettonica alla Facoltà di Architettura dell’università Federico II di Napoli, esponente di spicco di quella ‘corrente’ chiamata ‘Razionalismo italiano’. Poliedrico, fantasioso, irrequieto: allievo di Frank Lloyd Wright, non è si risparmiato altre fonti d’ispirazione: l’espressionismo, futurismo, neoplasticismo, costruttivismo, sempre, comunque, in stretto connubio con in temi del Movimento Moderno ed all’interno delle tante declinazioni del Razionalismo Italiano.
Ci ha lasciato quattro anni fa, la sua ‘lezione’ sembra essere dimenticata. Mai come in questo tempo, invece, si dovrebbe farne tesoro. Con straordinaria capacità affabulativa sapeva ‘descrivere’ la sua proposta insieme rivoluzionaria e utopica: la necessità di rottamare «la spazzatura edilizia postbellica, senza qualità, interesse storico ed efficienza antisismica».
Un qualcosa di ciclopico, visto che riguarderebbe almeno 40mila vani costruiti tra il 1945 e il 1975. E però «lo Stato riuscirebbe addirittura a risparmiare, se si decidesse di ricostruire tutto secondo criteri come quelli usati in Giappone, piuttosto che cercare di rimediare dopo ogni disastro e terremoto». Discorsi di un utopista visionario? Tuttavia, le cifre, nella loro aridità, fanno pensare. Si prendano gli ultimi grandi terremoti: Belice, Friuli, Irpinia, Umbria, Abruzzo, Emilia. I costi per la ricostruzione di un chilometro quadrato di area colpita oscillano tra 60 e 200 milioni di euro; il costo medio della ricostruzione di un singolo comune varia tra i 270 e i 1400 milioni di euro; il costo medio per abitante residente nell’area colpita oscilla tra 270mila e i 783mila euro. I costi dei terremoti e dei disastri ambientali tra il 1968 e il 2003 oscillano sui 146 miliardi di euro. Paese estremamente vulnerabile l’Italia: il 44 per cento del territorio si trova nella condizione di elevato rischio sismico; significa il 36 per cento dei comuni italiani, oltre 21 milioni di persone. E questo senza considerare i costi in termini di vite umane e il patrimonio culturale che viene distrutto.
Si parla tanto, a torto o ragione, di possibili piani Marshall per il Paese. Eccone uno.
Poi c’è l’altro caso, quello di Aboubakar Soumahoro, eletto in Parlamento dal cartello Nicola Fratoianni – Angelo Bonelli; poteva non sapere di tutti i pasticci combinati dalla moglie e dal cognato? Certo: l’inchiesta (e ogni giorno spunta un filone nuovo), è agli inizi; certo, al momento non ci sono indagati; certo, non sarebbe la prima volta che un’inchiesta all’apparenza clamorosa si rivela poi misera come il topolino partorito dalla proverbiale montagna… Fatti salvi tutti questi ‘certo’, è altrettanto incontrovertibile che politicamente parlando Soumahoro fa una figura meschina. Davvero l’unico che non sapeva, che non vedeva, che non capiva? Per non dire di Fratoianni e Bonelli: pur avvertiti che qualcosa non quadrava, vanno avanti ugualmente? Sicuro: Soumahoro è un prodotto mediatico creato da ‘l’Espresso‘ di Marco Damilano e da Diego Bianchi e la sua trasmissione su La 7. Detto questo, il problema è chi lo ha candidato e fatto eleggere.
Il caso Soumahoro impone l’ennesima domanda sulla selezione della classe politica. Non riguarda solo il partito che lo ha ospitato. Che cosa Soumahoro e i suoi cari hanno combinato, lo stabiliscano, si spera in fretta, i magistrati. Il problema politico è che questo ‘affaire‘ è la conferma, ennesima, che ormai non c’è più nessuna struttura politica organizzata in grado di fare quel processo di selezione interno che bene o male si faceva al tempo della cosiddetta prima Repubblica. Quello che resta dei partiti sono gruppi di interesse con mediocri tattiche e nessuna strategia neppure di medio periodo, incapaci di costruire entità solide e strutturate. Si insegue un consenso posticcio, voti, e per questo si fanno mille parti in commedia, maschere senza volto. L’essere si trasforma in sembrare. L’Italia (ma non solo l’Italia) è precipitata in una crisi di sistema che riguarda tutti i comparti dello Stato.
Questa la situazione, questi i fatti.
Valter Vecellio – L’Indro