La causa palestinese un pretesto per inneggiare al loro vecchio e amato comunismo e scagliarsi contro il governo Meloni. Le responsabilità morali dei “cattivi maestri”
Chi ha potuto seguire sulle web-tv la manifestazione non autorizzata pro-Palestina, svoltasi ieri a Roma, si sarà certamente posto delle domande. Come si possono vedere cose del genere? Una giornata vergognosa.
Il divieto di manifestare
Partiamo dall’inizio: è lecito partecipare impunemente a manifestazioni vietate dalle autorità? Se la risposta fosse affermativa, come sostengono le belle anime della sinistra italica, dovremmo considerare altrettanto lecito non rispettare il codice della strada, il divieto di emettere rumori assordanti in piena notte, quello di utilizzare un mezzo pubblico per i propri fini personali. E no, signori, non basta dire che sopprimere la libertà di riunione è qualcosa d’illiberale per fregarsene bellamente dei divieti imposti dall’autorità a cui tutti noi siamo sottoposti, in quanto viviamo in un Paese civile.
In un Paese democratico e civile, esistono dei limiti che le autorità (in questo caso, prefetti e questori) possono porre alla libertà di associazione e riunione, e persino a quella della libera espressione del pensiero. Se in nome di un liberismo distorto tutti potessero dire e fare qualsiasi cosa loro aggradi e fosse loro concesso di organizzare manifestazioni di piazza anche quando è prevedibilissimo che possano gravemente turbare l’ordine pubblico, negheremmo le basi del vivere civile. In questo caso è il Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza a prevedere la mancata autorizzazione alla manifestazione in quei casi. È capitato migliaia di volte prima di oggi, e allora?
I casi sono soltanto due: o neghiamo che l’autorità (quella che il vocabolario Treccani definisce come “la posizione di chi è investito di poteri e funzioni di comando, e la cui forza è basata da un lato sulla sintesi del volere con la legge, dall’altro sul riconoscimento ufficiale della forza stessa” possa esistere in quanto tale (e sarebbe il caos), oppure, se la riconosciamo ma decidiamo di personalmente non sottometterci ad essa, perlomeno non facciamocene vanto, soprattutto quando si faccia parte di quelle categorie di persone che non parlano unicamente a nome proprio.
In entrambi i casi, è proprio l’“abc” del diritto, chi decida di infrangere la legge, non si lamenti se ne deriveranno delle conseguenze negative. Pur essendo sacro il principio dell’autodeterminazione e, fin qui, tutti d’accordo, è altrettanto vero che le conseguenze per aver infranto un divieto devono essere interamente accettate, proprio perché vi è stata la libera determinazione a commettere quell’illecito di cui si conosceva l’esistenza. Mettere in discussione questi pilastri della società civile equivarrebbe a riportarci all’età della pietra.
L’apologia del terrorismo
Altro punto: ho visto e, ahimè, sentito parlare svariate ragazzine urlanti. Griffatissime e con Iphone 15 in mano, ignorano che il microfono sia stato inventato per non essere costretti a gridare, malamente perorando la causa palestinese ma, soprattutto, incitando all’odio verso Israele e persino contro la nostra presidente del Consiglio e il nostro ministro degli esteri (abbondantemente insultati).
Se la crassa ignoranza del complesso scenario mediorientale e persino della storia costituisce ragione per inneggiare alla rivoluzione e alla generica “resistenza”, stiamo freschi. Ma, oltre alle ragazzine con la kefiah, inconsapevoli della loro totale irrilevanza, c’erano pure diversi politici della sinistra irriducibile, oltre a indifendibili sindacalisti, a rilanciare lo stantio mantra dello Stato di Israele usurpatore e criminale al contrario dei terroristi di Hamas o Hezbollah, che sarebbero povere vittime senza patria e senza colpa. Fermi tutti: ciò non possiamo permetterlo, perché il terrorismo di qualsiasi nazionalità e ideologia non può ammettersi, per alcuna ragione: si chiama apologia del terrorismo.
Comunismo e antisemitismo
Non penso vi sia chi non abbia notato come, nei rauchi discorsi dei pensionati fatti oggi in Piazza della Piramide, la parola “compagno” si ripeteva ogni minuto, così come l’invito a una resistenza militante che non fa presagire nulla di buono. Non stavano parlando ai palestinesi e nessun ebreo ha minacciato, né allora né oggi, gl’italiani. Anzi, semmai è storicamente accaduto il contrario. Suvvia, non facciamo le verginelle: quelli visti oggi inneggiavano al loro vecchio e tanto amato comunismo; dei palestinesi importa loro sottozero e il loro profondo antisemitismo la vera ragione, ma pure un comodo pretesto.
Vogliono aizzare le piazze principalmente contro l’attuale governo. Almeno lo dicano chiaro e tondo senza tante manfrine e chiedano il voto. Patetico quel loro “Passo ora la parola al compagno XY …”. Sembrava di sentire Peppone nel 1947. Condannati all’oblio, i vecchi tromboni comunisti si attaccano ormai a tutto, anche a costo di fare figure di palta immense, come vedremo dopo.
Responsabilità morali
Resta la pesante e poco nobile responsabilità morale di chi, già da giorni, ha caricato a molla gli sprovveduti ragazzi (che componevano almeno il 75 per cento dei “manifestanti”) e di chi lo ha fatto oggi sulla piazza romana. Proprio perché il clima generale è tesissimo, prossimo al punto di rottura, chiunque inneggi a qualsiasi forma di rivoluzione, all’odio politico, alla sedizione, compie un atto gravissimo.
Oltretutto (ma si perderebbe soltanto del tempo) sarebbe interessante far notare agli innamorati della Palestina, molto sensibili all’aspetto etico di questa odiosa guerra in corso, che c’è una bella differenza tra torturare e assassinare nei più indicibili modi dei civili disarmati facendo irruzione nelle loro case, e provocare delle vittime per la (pur se implacabile) risposta militare di chi abbia subito tale abominio e voglia che non accada mai più.
Non occorre essere esperti in strategia militare per dire che a Israele, eliminare primariamente i civili a Gaza e in Libano, non porterebbe alcun beneficio, ottenendo, al contrario, di attirare verso di sé il disprezzo mondiale. Israele è un Paese civilissimo e democratico (e nemmeno un po’ di destra, lo sappiano, le ragazzine urlanti).
Hanno fatto benissimo il ministro dell’interno, il prefetto e il questore di Roma a vietare quella manifestazione. Supponevano che, dati i partecipanti preannunciatisi sarebbe finita in vacca. Com’è finita? In vacca.
La immensa figura di palta a cui facevo riferimento prima è riferita al discorsetto di uno dei settantenni che avevano arringato poco prima la massa famelica, il quale ha provato a fermare detti poveracci, dicendo loro, pari pari: “Ora vi ringraziamo, la manifestazione è finita qui, tornate pure a casa”. Ite, missa est. Nemmeno un minuto dopo, e senza aver nemmeno risposto “Deo gratias” e non cagandoselo, gli esaltati si sono lanciati contro gli agenti, per poco non travolgendo gli stessi “organizzatori pentiti”.
Prima sobillano, danno un potente aiuto logistico al raduno illegale, li caricano a puntino e poi fanno dietrofront. Tanto, a prendere eventuali manganellate sono i ragazzini. Questo hanno provato a fare, sottovalutando (a volte i capelli bianchi non conferiscono saggezza) che le formazioni estreme che vorrebbero aizzare contro inesistenti fascisti hanno soltanto voglia di rompere tutto e menar le mani, rigorosamente contro chi sanno benissimo che non farà loro troppo male. Vorrei vedere se manifesterebbero tanta aggressività contro la polizia di uno dei Paesi dei quali sventolano le bandiere.
Polizia passiva
Perlomeno, stavolta non ci verranno a rompere i coglioni con la Polizia assassina eh… Chi ha visto in diretta tutte le fasi degli scontri coi soliti incappucciati non può non aver constatato con evidenza l’atteggiamento assolutamente pacifico e difensivo dei bravissimi componenti le forze dell’ordine.
Si sono semplicemente difesi, e soltanto in extremis, operando nel modo più soft possibile e lasciandosi (a mio giudizio, persino sbagliando) provocare, insultare e vilipendere dagli scalmanati per ore intere. Questa è ormai la disposizione che a loro viene impartita. Ventiquattro feriti tra i poliziotti e solo una tra i manifestanti, nonostante la strabordante superiorità dell’armamento in dotazione agli agenti. I numeri non mentono.
Povera Italia. A tanto siamo arrivati: polizia e carabinieri devono lasciarsi picchiare. Guardate i filmati degli scontri di piazza in qualsivoglia altra nazione al mondo. Lì, la polizia mena di brutto. I nostri subiscono per non finire sotto processo. Bella roba. Complimentoni a organizzatori, oratori e suggeritori dei pacati slogan sentiti oggi. A quando la seconda puntata? In quale città?
Roberto Ezio Pozzo – Atlantico