Il partito della disaffezione. Una crescente quota di popolazione non si sente più rappresentata. Uno scollamento con effetti disastrosi
A urne ancora aperte, e risultati di queste elezioni per quanto pronosticati e vaticinati da sondaggi ed exit poll, ragionare sul voto e le possibili conseguenze, potrebbe sembrare avventato. In realtà già si dispone di elementi sufficienti, quale che sia l’esito, per proporre qualche sparsa riflessione.
Per esempio: la bassa affluenza -ieri alle 23 eravamo al 39,38%. D’accordo, in molti è scattato il timore del contagio Covid-19. Giustificazione che regge fino a un certo punto.
Non c’è stato timore nell’affollare spiagge e discoteche, movide varie; e ora c’è paura a deporre una scheda in un’urna? Tranquillamente la sera ci si ‘assembra’ nei tavoli dei ristoranti, ora ci si formalizza nel toccare per qualche secondo una matita e tracciare una X sulla scheda? Si può comprendere una persona anziana, magari affetta da patologie che possono con il Covid-19 aggravarsi; ma persone mature che negano il virus, e giovani spavaldi che non indossano la mascherina, loro improvvisamente tremebondi e pavidi?
In realtà, si chiama disaffezione.
Certo, il voto non è un dovere, è un diritto, una facoltà: chi vuole la esercita, se no, amen. Però conviene interrogarsi su un fenomeno ormai sedimentato: i partiti, non importa di quale colore, sono sempre meno attraenti. Una crescente quota di popolazione non si sente più rappresentata; li rifiuta con scelta consapevole. Anche i ‘nuovi’, quelli a cui ha dato per qualche tempo credito (M5S da una parte; Lega salviniana dall’altra), diventano estranei. Chi, poi, decide comunque di esercitare il diritto di voto, esprime una contrarietà: un voto ‘contro’, non un voto ‘per’. Sono spariti i corpi intermedi che facevano da cerniera tra istituzione e popolo.
Ora propongo un ‘salto’, apparente. I tragici fatti di Colleferro. In questo grosso comune della cintura romana, un ragazzo di 21 anni, colpevole di voler aiutare un amico aggredito, viene ucciso a calci e pugni. Qui, non importa ragionare sui quattro arrestati per il delitto, i loro valori, i tatuaggi, le pose per i social; è affare di chi studia la psiche umana, e per quanto riguarda il profilo penale, dei magistrati.
Come singoli e collettività, la domanda da porre è: quanti sono i ‘luoghi’, i paesi come Colleferro, in Italia? Quanti, come quei quattro sciagurati? Che tipo di valori e di vita sociale, aggregazione politica, culturale? E’ una regressione che si manifesta con episodi come quelli di Colleferro che per qualche giorno fanno ‘notizia’, ma che si riflettono in mille micro-episodi ogni giorno. Una regressione inquietante; e maggiormente inquieta che non inquieti a sufficienza, e che non si riescano a individuare correttivi, rimedi.
Almeno un tempo la Chiesa svolgeva, discutibile fin che si vuole, un ruolo di cerniera; ora anche questo argine viene meno. E per tornare ai partiti: nessuno, da destra e da sinistra, si pone il problema. La politica sempre più è percepita come occupazione di potere, oligarchie che spartiscono postazioni di comando, tecnicamente, ma anche fattualmente, irresponsabili. E non parliamo del sindacato. Insomma, i citati corpi intermedi che non ci sono più, non intercettano, non mediano, non svolgono più il fondamentale ruolo di cinghia di trasmissione.
Un tempo forse si esagerava con ‘tutto è politica’; ma dal ‘tutto’ si è passati al suo opposto, con risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Non è nostalgia per il vecchio modo di fare politica: ce lo siamo lasciato alle spalle, là resti. Ma quel ‘vecchio’, è sostituito da un deserto umano, politico, culturale, da un ‘vuoto’ terrificante.
Un ‘vuoto’ che si nutre e alimenta di indifferenza, incattivimento, delusione, frustrazione, egoismo; sguaiataggine, volgarità.
Quella che va recuperata è una soglia minima di decoro. E’ questo il ‘messaggio’ che viene da queste elezioni: la richiesta, l’esigenza.
Al di là di questo, quello che leggeremo nelle prossime ore e giorni è semplicemente fuffa e muffa.
di Valter Vecellio