Guai a chi alza la testa. La voce del padrone si è fatta sentire in diretta tv molto prima che iniziasse una riunione dimostratasi, come era prevedibile, inutile e banale  visto che la linea da tenere era già stata dettata dal capo. La direzione nazionale era stata anticipata da ripetuti  bluff del segretario reggente Maurizio Martina   che fino a poche ore prima dell’inizio del summit insisteva sul fatto di tenere aperto un dialogo con i 5 Stelle. Poi una volta iniziato  il confronto al Nazareno il  ministro dell’agricoltura uscente ha vergognosamente sconfessato se stesso chiudendo definitivamente la porta ai grillini come imponeva il diktat del bullo fiorentino… che a dire il vero questa volta non ha avuto particolarmente bisogno di sfoderare tale sfacciata arroganza. I numeri sono dalla sua parte:  la maggioranza dei delegati al nazionale, su 198 presenti oltre 115 erano i fedelissimi, come altrettanto lo sono gli eletti in Parlamento costantemente proni alle sue decisioni.
Così il povero Martina, che conta il due di picche quando in tavola c’è denari, si è presentato alla direzione del Pd già pronto alla resa incondizionata in compagnia di quella armata Brancaleone, qualcuno l’aveva denominata la pattuglia dei governisti, che alla fine ha chinato il capo dinnanzi al padrone del partito Matteo Renzi che ha imposto il niet assoluto al proseguimento delle trattative con i pentastellati.  Del resto lo si sapeva che l’appuntamento alla segreteria romana di ieri pomeriggio non aveva ormai nessuna importanza dopo l’intervista rilasciata a Fazio domenica sera quando il toscano gonfiando il petto ha categoricamente sconfessato e sfiduciato le intenzioni di Martina che con una sparuta compagine aveva tentato di instaurare un rapporto con i 5 Stelle. Arrivato in direzione con la coda tra le gambe è stato imbarazzante sentirlo recitare la triste parte dell’eterno comprimario con cui si piegava agli ordini del suo duce Matteo che ancora una volta ha dimostrato – se ce ne fosse stato ancora bisogno –  chi è il vero protagonista, chi comanda davvero in casa Pd.
Del resto l’ex primo ministro da Rai 1  ha lanciato un messaggio molto chiaro dai tratti intimidatori sostenendo che nessuno degli eletti in Parlamento sarebbe stato disposto a votare la fiducia a un eventuale governo Di Maio. In sostanza ha fatto intendere  che lui solo ha il pieno controllo sulla maggioranza della squadra che siede alla Camera e al Senato. Verissimo, come dargli torto visto che con un atto d’imperio le candidature per le politiche le ha selezionate in piena autonomia infischiandosene dei conseguenti malumori e spaccature interne.
Così la direzione è scivolata via piatta, senza scossoni abortendo sul nascere le pie illusioni di qualche mente fantasiosa che  si aspettava una scatto di dignità, di orgoglio contro la prepotenza del toscano che ha fatto del Pd una cosa sua. Tutti in riga dunque come soldatini hanno confermato il sostegno al reggente Martina fino all’assemblea in programma a fine maggio. Ma le divisioni rimangono, una contrapposizione che si sta consumando dopo l’esito disastroso delle elezioni del 4 marzo scorso.
Pensare che dopo l’intervista a “Che tempo che fa” la tensione tra i “malpancisti” era salita alle stelle, Martina aveva dichiarato addirittura a caldo che il partito era ingovernabile, dopo le affermazioni di Renzi. E questo poteva far immaginare che la direzione fosse l’occasione giusta per un terremoto interno, una resa dei conti contro lo strapotere renziano. Addirittura qualcuno aveva parlato di possibile scissione. Invece è andato tutto al contrario, sono fuggiti tutti come topi all’arrivo del gatto.  E il primo a far cadere le braccia è stato il reggente che sembrava disposto a contrapporsi all’autoritarismo dell’ex premier ma alla fine le aspettative sono state deluse e Martina si è dimostrato una pistola scarica.